«Vi spiego la mia Green Hill»
«Verdetto senza precedenti per una battaglia culturale, ancor prima che processuale»
Dichiarando «inammissibili» i ricorsi delle difese, la Cassazione ha scritto la parola fine su Green Hill e sulle condanne ai vertici. «Ma non era affatto scontato» dice il pm titolare del fascicolo.
Non era scontato, affatto. E non era nemmeno mai capitato, in aula. Dichiarando «inammissibili» i ricorsi delle difese, l’altra sera la Cassazione ha scritto la parola «fine» sul caso Green Hill, confermando le condanne emesse in primo grado e in appello nei confronti dei vertici della multinazionale americana Marshall — proprietaria dell’(ex) allevamento di beagle destinati alla sperimentazione con sede a Montichiari — per animalicidio e maltrattamenti sugli animali. Il fascicolo di questa indagine, coraggiosa e senza precedenti, porta il nome del sostituto procuratore Ambrogio Cassiani. Legittimamente «soddisfatto».
Quella di Roma è una sentenza destinata a fare scuola.
«Non ha precedenti, del resto. E non solo in Italia. Si tratta della prima condanna per uccisione di animali destinati ai tavoli di laboratorio. Peraltro ricordo che altri Green Hill, da noi, non potranno nemmeno più esistere: dopo la sentenza di primo grado, su interrogazione parlamentare (consegnai tutta la documentazione richiesta) fu emanata la legge che ne impedisce l’apertura». Non soltanto una difficile battaglia giuridica, insomma.
«Civica e culturale prima ancora che processuale, glielo assicuro. Un procedimento e tre sentenze che non sono solo la conferma di condotte penalmente rilevanti, ma l’affermazione di una serie di principi civili: il decreto 116 del 1992 (di cui tanto si è discusso nel corso delle udienze, ndr) non era una legge sulla sperimentazione scientifica, come più volte sostenuto dalla controparte, ma finalizzata alla tutela dell’animale pur destinato a una fine non proprio felice. Quantomeno per fissarne i parametri minimi e sindacali. E non era una norma facoltativa, sia chiaro». Tutto iniziò il 28 aprile del 2012.
«Ero di turno. Ci fu il blitz degli animalisti. E per la prima volta sentii nominare Green Hill. Dalle dichiarazioni rese nel corso degli interrogatori, decisi di convocare gli avvocati delle associazioni, Lav e Legambiente, anche perché alcuni erano gli stessi che assistevano gli attivisti, per farmi spiegare un po’ la situazione. Mi parlarono di queste presunte, possibili, probabili irregolarità. E di una precedente attività di indagine chiusa proprio nel 2012, a marzo, su richiesta di archiviazione in virtù di una relazione stilata dall’Istituto Zooprofilattico». E lei ha voluto vederci chiaro.
«L’ho letta. E mi è balzato subito all’occhio un elemento: la così detta ‘check list’ che si propone in questi casi era rivolta ai vertici della struttura». Come dire controllati e controllori. «Ecco. Mi serviva qualcosa per riaprire l’inchiesta. E colsi al volo il fatto che per le difese degli animalisti denunciati dopo l’irruzione Lav e Legambiente avessero a loro volta condotto alcuni accertamenti nel giugno 2012. Il fascicolo fu riaperto». Dì lì a poco il sopralluogo. «L’ispezione la facemmo a luglio: ci andai di persona, a Green Hill. Il 18 scattò il sequestro preventivo».
E in corso d’opera l’indagine si è arricchita di ulteriori elementi, come i controlli veterinari «programmati».
«Tantissimi. Nei server trovammo tutte le mail scambiate tra la casa madre e gli imputati. Le prove degli abusi, alla fine, ce le hanno date loro. La quantificazione dei beagle morti, quasi seimila in meno di quattro anni, per esempio, è stata possibile proprio grazie all’analisi dei cartellini abbinati a ciascun animale: c’erano, anche se non li avevano divulgati».
Ma non è finita del tutto, visto che nel frattempo si è aperto un’altro filone d’inchiesta.
«Il 22 novembre torneremo in aula per la fine delle discussioni nel processo a carico di due veterinari Ats e tre ex dipendenti di Green Hill, accusati, a vario titolo, di concorso in maltrattamento e uccisione di animali, false dichiarazioni e falso ideologico». Ma non è stato facile. «Guardi, quello su Green Hill è stato il processo più difficile della mia vita, mi creda. La lotta tra Davide e tutta la famiglia di Golia. Non era affatto scontato che la Cassazione, addirittura, dichiarasse inammissibili i ricorsi della difesa». Ma tant’è.
Ambrogio Cassiani Non era affatto scontato che la Cassazione dichiarasse inammissibili i ricorsi delle difese