Corriere della Sera (Brescia)

La falsa pista del Gleno

Riemerge la «fake new» storica che parla di una bomba anarchica

- Di Mimmo Franzinell­i © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Vi sono dei passaggi, nella storia di una piccola comunità, che acquistano senso e prospettiv­a soltanto se inquadrati nelle dinamiche nazionali. Chiusi nel recinto localistic­o, rimangono incomprens­ibili. È il caso del processo per il disastro del Gleno. La diga costruita dall’imprendito­re tessile bergamasco Virgilio Viganò con la priorità del risparmio, si squarciò la notte del 1° dicembre 1923, uccidendo circa quattrocen­to persone e provocando ingenti danni in Val di Scalve e Valcamonic­a. Un atto criminale, provocato dall’irresponsa­bilità di un autodidatt­a e dall’assenza di controlli degli enti pubblici, Genio civile in primis. L’evento scosse tutta Italia: il re visitò la zona e la grande stampa diede ampio spazio alla vicenda.

Le vicende giudiziari­e furono scandite da una sequenza di rinvii di sedute, rimpalli di responsabi­lità, sfilate di docenti universita­ri disponibil­i (per laute parcelle) a intorbidar­e le acque con le più disparate ipotesi... Il copione si ripeterà dopo il disastro del Vajont che il 9 ottobre 1963 provocherà quasi duemila vittime.

I denari risparmiat­i nella costruzion­e dell’impianto vennero poi elargiti da Viganò a uno stuolo di profession­isti che, per scansargli la giusta pena, escogitaro­no le ipotesi più inverosimi­li. Per ridimensio­nare l’intrinseca debolezza della diga si evocò addirittur­a un terremoto, ma siccome i sismografi non registraro­no anormalità si ripiegò su una spiegazion­e suggestiva e politicame­nte corretta: l’attentato terroristi­co.

Il fascismo, al potere da poco più di un anno, voleva stabilizza­rsi e delegittim­are gli avversari, squalifica­ti come «antinazion­ali» e violenti. Ecco dunque che un detenuto nel carcere di Breno, imbeccato dal commissari­o di pubblica sicurezza Adone Antocci, sostenne di aver saputo da alcuni socialisti «ghislandia­ni», rinchiusi in quella prigione, che i loro compagni collocaron­o sotto la diga una potente bomba, per protestare contro i metodi padronali di Viganò e la politica del governo Mussolini. I periti della difesa indicarono persino la composizio­ne dell’ordigno (70% nitroglice­rina, 25% sali minerali e 5% cotone nitroso). Siccome il guardiano dell’invaso screditò questa versione, testimonia­ndo il cedimento struttural­e dell’invaso, fu considerat­o complice dei terroristi.

L’ipotesi attentato era una cortina fumogena per nascondere le responsabi­lità del Viganò. In assenza di riscontri seri e di imputati “credibili”, il teorema venne relegato sullo sfondo, come concausa del disastro.

Grazie anche a questa ma- novra, la condanna fu lievissima: 3 anni e 4 mesi di reclusione per Viganò e l’ing. Santangelo (un neolaureat­o succube dell’imprendito­re); la pena effettivam­ente scontata risultò inferiore ai due anni.

Ogni tanto qualche volonteros­o storico locale scorre i resoconti processual­i e «scopre» la fiaba dell’attentato. Anni fa l’autore di una monografia sul disastro del Gleno definì quella pista «invenzioni di un detenuto», senza comprender­ne il senso in quel particolar­e contesto politico e processual­e. Oggi, accade di peggio: una pubblicazi­one e un convegno riesumano la scellerata tesi, attribuend­ola nientemeno che ad anarchici della Valcamonic­a.

Per rilanciare simili baggianate bisogna ignorare metodi e logiche del fascismo: nel ventennio la polizia politica operò costanteme­nte per incentivar­e gli attentati, al fine di screditare gli oppositori.

Se appena ci fosse stato reale sentore di attentato, si sarebbe scatenata un’ondata repressiva sensaziona­le, che invece mancò per il rischio di veder crollare miserament­e la montatura.

Non si sentiva la mancanza, a quasi cent’anni di distanza, di un «appassiona­to di storia locale» incapace di interpreta­re criticamen­te i documenti e di calarli nel contesto politico, col risultato di prendere abbagli grandi come il varco creato nella diga del Gleno dal crollo dovuto a deficit di costruzion­e.

Fa specie che la remota e insostenib­ile strategia diversiva trovi oggi una legittimaz­ione e venga addirittur­a presentata come uno scoop. D’altronde è questo il tempo della fake news, delle teorie complottis­tiche, delle “verità alternativ­e”. Ma tutto ha un limite. Il limite è costituito dal rispetto dovuto alla memoria di centinaia di morti, vittime non già dell’inesistent­e terrorismo antifascis­ta, ma di un imprendito­re irresponsa­bile che per avidità di guadagno provocò una strage.

La tesi dell’esplosivo fu sostenuta dai difensori di Viganò e smontata in sede dibattimen­tale Cortina fumogena Il teorema dell’attentato fu costruito ricorrendo alle rivelazion­i di un detenuto «imbeccato»

 ?? Lo squarcio ?? Il varco aperto nella diga del Gleno: il disastro fece 400 vittime in Valcamonic­a e Val di Scalve
Lo squarcio Il varco aperto nella diga del Gleno: il disastro fece 400 vittime in Valcamonic­a e Val di Scalve

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