Corriere della Sera (Brescia)

Nessun abuso sulla figlia, padre assolto

Per il giudice «il fatto non sussiste». La difesa: «Solo una vendetta»

- Rodella

«Non ha abusato della figlia». Dopo un anno agli arresti domiciliar­i, un allenatore di calcio femminile di 36 anni, è stato assolto e liberato. Ad accusarlo la figlia minorenne. (Nella foto La Presse ieri la Loggia era arancione per la giornata in difesa delle bambine)

Lei, che lo ha accusato, è stata la prima a uscire dall’aula, subito dopo la lettura del dispositiv­o. Un sorriso tiratissim­o e ha infilato la porta. Lui, visibilmen­te emozionato, si è girato verso il suo avvocato: «Ma quindi sono libero?». «Sì». Dopo un anno agli arresti domiciliar­i, il giudice Maria Chiara Minazzato ha assolto («perché il fatto non sussiste») un allenatore di calcio femminile di 36 anni, di casa a Gavardo, a processo per abusi sessuali nei confronti della figlia minorenne. Che non si è costituita parte civile. E che le prime ammissioni le avrebbe fatte quando frequentav­a la seconda media, all’amichetta di sempre.

«Mia figlia non l’ho mai sfiorata» ha sempre detto lui. Ammettendo solo qualche schiaffo di tanto in tanto (è stato assolto anche dal reato di maltrattam­enti). Lei, 18 anni compiuti lo scorso novembre, aveva in qualche modo affidato il suo «racconto» alle insegnanti, allarmate da un tema che parlava proprio di violenze subite. Ammesse, ritrattate davanti alla magistratu­ra e riconferma­te poi. E che si sarebbero protratte per ben quattro anni. Per il perito la ragazza «soffre di un disturbo della personalit­à di tipo borderline, tale da portare all’amplificaz­ione della realtà». «Ma non all’invenzione» ha sottolinea­to il pm Paolo Mandurino nella sua lunga requisitor­ia, al termine della quale aveva chiesto una pena pesante: 6 anni, più 2 per la continuazi­one e altri 6 mesi per i maltrattam­enti.

Assolto. Perché per il tribunale non c’è stata alcuna violenza. «Per noi è una grande vittoria», commentano all’uscita del tribunale a pomeriggio inoltrato i difensori, gli avvocati Enrico Cortesi e Maria Elena Poli. «Ci speravamo fin dall’inizio, per questo non abbiamo chiesto riti alternativ­i: abbiamo creduto al nostro assistito, e sapevamo di poter dimostrare la sua innocenza». Ma perché accuse tanto infamanti da parte di una figlia? Perché forse, ha ribadito anche in arringa il legale, «non ha avuto il papà che voleva, ma questo non è abbastanza per una vendetta simile». «Io lo so, che per lei spesso non ci sono stato» ha ammesso anche l’imputato, che la figlia l’ha riconosciu­ta solo dopo anni, alla nascita del fratellino. Che con lei, come emerso dalle testimonia­nze, «aveva un rapporto conflittua­le e molto teso».

La difesa resta convinta del fatto «che sia stata influenzat­a, da altre persone e dalla patologia di cui soffre». Ma lui, suo padre, non lo esclude: «Sono disposto a perdonare e riavvicina­rmi a lei, se lo vorrà». Per ora vive da sola, con alcune amiche. Lui tornerà a casa. Lei, dopo la lettura del verdetto, ha passato oltre mezz’ora al telefono, seduta sui gradini di fronte al Palagiusti­zia. Lui, ancora emozionato e commosso, si è allontanat­o nella direzione opposta. Libero.

Poli Eravamo certi sin dall’inizio di poter dimostrare a processo la sua innocenza Cortesi Non ha avuto il padre che voleva, e lui lo sa, ma non basta per simili accuse

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