«Io, senza braccio voglio vivere»
A luglio l’incidente in azienda, sabato le nozze in S.Giulia
A luglio ha perso un braccio mentre lavorava, poi il reimpianto finito male a Torino, l’infezione, il doppio arresto cardiaco e la riabilitazione. Ma Albertomaria Mariaschi, 31 anni, non ha perso la voglia di vivere. E sabato si sposa.
Quello di sabato in San Giulia sarà un sì carico di significati, di voglia di ricominciare a vivere e a sognare. Per Albertomaria Mariaschi, 31 anni, quello pronunciato a fianco della futura moglie, Claudia Guerini, e davanti al consigliere comunale Francesco Onofri sarà un sì che vuole cancellare mesi in cui ha rischiato di morire un paio di volte, ha combattuto contro il destino e una buona dose di sfortuna. Albertomaria avrebbe dovuto sposarsi il 9 settembre scorso, ma agli inizi di luglio, nella fabbrica di Bedizzole dove lavorava, il suo braccio destro è finito in una macchina che lavora i polimeri ed è stato strappato con violenza. «Di quei momenti - spiega il giovane operaio - ricordo solo il dolore atroce, i miei colleghi che tentavano di bloccare l’emorragia con una cintura stretta attorno al moncone di arto e il braccio recuperato e custodito in un frigorifero». All’arrivo degli operatori del 118 Albertomaria è stato sedato e quando il giovane si è risvegliato era in un letto della rianimazione del Cto di Torino con il braccio destro reimpiantato. Un piccolo miracolo durato un paio di settimane, poi la più drammatica delle complicazioni: setticemia. La sepsi e il conseguente choc lo hanno portato ad un doppio arresto cardiaco e ad un nuovo intervento per l’amputazione dell’arto che, a questo punto, doveva essere sacrificato. Il risveglio è stato ancor più drammatico, «a causa degli arresti cardiaci avevo perso l’uso della parola — racconta — e la mano sinistra era rattrappita». Un uno-due che avrebbe steso chiunque «ma ora sono qui a raccontarlo: grazie alla logopedia sono tornato normale e la mia mano non mi da più grossi problemi». Grazie anche agli angeli custodi di questi mesi complicati, la madre Rosangela Formenti e la fidanzata. «Quando il giorno dell’incidente mi hanno chiamato — racconta la signora Rosangela — sono corsa al Civile e mi hanno detto che mio figlio rischiava di morire. Ho trovato un medico che sembrava un matto mentre parlava contemporaneamente con cinque telefoni per cercare un posto dove ricoverare Albertomaria». Quel medico era il dottor Pierpaolo Borelli, esperto di chirurgia della mano,uno che di arti da reimpiantare se ne intende e sa che è una corsa contro il tempo: l’operazione va fatta entro sei ore, inoltre il paziente ha perso molto sangue e un viaggio troppo lungo potrebbe rivelarsi fatale. I centri specializzati lombardi (a Milano e Rozzano) e delle regioni vicine erano già impegnati, così il paziente è stato dirottato sul Cto di Torino, un luogo di eccellenza, quella stessa eccellenza in cui Brescia era stata pioniera. «Io — si rammarica la signora Rosangela — sono cresciuta leggendo delle conquiste fatte dal Civile in questo campo e scoprire che tutto ciò non c’è più sono rimasta senza parole. A Torino ho trovato persone eccezionali (confesso che non posso dire altrettanto dello stato delle strutture in cui operano) come il professor Bruno Battiston che, guarda caso, aveva studiato a Brescia. Io a Torino ho trascorso oltre due mesi accanto a mio figlio, altre famiglie bresciane, forse, non avrebbero potuto fare altrettanto. Mi chiedo se è stato giusto lasciar morire questi centri di eccellenza che avevamo dietro casa».
Quindici ore di operazione, però, non hanno potuto salvare il braccio di Albertomaria, ma lui non ha recriminazioni: «Non avrei potuto vivere con il rimpianto di non aver tentato il tutto e per tutto per riavere l’arto. Ho sofferto, ho rischiato, è andata male, ma ne è valsa comunque la pena». Il giovane operaio racconta il suo calvario - sia che parli della sala di rianimazione, che del vitto non certo da cinque stelle dell’ospedale - con un filo di ironia che alimenta il suo sorriso e quello dei famigliari gli stanno accanto. «Ora vorrei una protesi bionica, ma prima devo onorare una promessa: sposarmi». «Sì - gli fa eco Claudia -, perché io l’ho detto subito quando mi hanno chiamata in ospedale: guardate che me lo sposo comunque... anche se gliene dovesse mancare un pezzetto».
La sfortuna A Torino il reimpianto dell’arto la sepsi e la nuova amputazione La madre: perché Brescia non ha saputo coltivare le sue eccellenze?