Martiri e benefattori In mostra i bresciani «profeti» nel mondo
Il miracolo più suggestivo è quello della beata Irene Stefani (1891-1930): per sua intercessione 270 persone sarebbero sopravvissute in una chiesa del Mozambico assediata dalla guerre civile grazie a un fonte battesimale ricavato nell’incavo di un tronco trasformatosi in sorgente inesauribile. Il martirio più drammatico è quello del beato Giovanni Fausti originario di Brozzo (18991946) giustiziato in Albania dal regime comunista con l’accusa mirabolante di aver ordito una congiura di gesuiti. La figura più avventurosa è fratel Garibaldi, al secolo Domenico Bondoni di Anfo detto anche «Il dinamitardo di Dio»: barba bianca e modi spicci (come l’eroe dei due mondi) ai primi del Novecento si applicò all’evangelizzazione dei poveri della Tanzania con la stessa energia con cui da laico s’era dedicato al contrabbando col Trentino. È una carrellata di personaggi unici, di scoperte e di sorprese la mostra intitolata «La misericordia dei bresciani in casa e nel mondo» che don Antonio Fappani e Fondazione civiltà bresciana hanno allestito nella sede di vicolo San Giuseppe, visitabile fino al 21 ottobre. Si inizia da quando Brescia stessa era terra di missione con l’azione (a metà fra storia e mito) dei grandi pionieri del Vangelo nel Nord Italia, da San Vigilio a San Floriano, da San Siro a San Zenone. Dal ‘500 in poi, però, la fede bresciana ha già un formato esportazione e la globalizzazione del cristianesimo viaggia su gambe bresciane. Distanze e barriere linguistiche non erano un problema per figure come Giulio Aleni (15821649), in Confucio d’Occidente, che assistette alla transizione dalla dinastia Ming alla Qing. Nè per il gesuita padre Organtino Gnecchi Soldi che da Casto raggiunse il Giappone con viaggi che duravano mesi. Sono solo alcuni nomi di una galleria di missionari bresciani lunga, vasta. E non ancora conclusa.