«Io, che con orgoglio realizzo ogni giorno il mio sogno in divisa»
Gabriele Spagnoli ha 25 anni e viene da Lecce
Potete incontrarlo ogni giorno (o quasi): in stazione («dove dal punto di vista operativo risse e sequestri di droga sono piuttosto frequenti») o nel piazzale del Palagiustizia («nessun episodio grave, giusto un pestaggio nelle scorse settimane, che ha coinvolto padre e figlio minorenne al termine di un’udienza civile»). Mitra in pugno, mimetica e anfibi ai piedi, provate a chiedergli un’informazione: si farà in quattro per aiutarvi. Senza mai perdere d’occhio cosa sta succedendo nei dintorni. E se lo ringrazierete per quello che fa, sarà lui a ringraziare voi. Ogni volta.
Gabriele Spagnoli ha (solo) 25 anni. È originario di Veglie, in provincia di Lecce e tecnicamente è un volontario in ferma prefissata di un anno («per ora») dell’Esercito Italiano. Ed è stato scelto per entrare nella «squadra» Strade Sicure su Brescia. La sua carriera militare non inizia prestissimo. Non con l’accademia, insomma. Maturità scientifica, tre anni di Ingegneria industriale, «a un certo punto ho capito che non era ciò che volevo fare davvero». E che era arrivato il momento di riacchiappare dal cassetto dei desideri il sogno di sempre. «Sin da quando ero bambino guardavo i film con i soldati: “Vorrei essere come loro, così coraggiosi, spavaldi”, mi dicevo». Gabriele non è figlio d’arte, in famiglia «papà fa il contadino e mamma la casalinga. Poi c’è mio fratello, diversamente abile». Si arruola in aprile, nel 2016. Due mesi di Rav (reggimento addestramento volontari), otto settimane di addestramento di base (Modulo K) a Cesano di Roma, in fanteria, per poi essere destinato a Torino, al primo reparto sanità («per gestire gli ospedali da campo e aiutare le popolazioni in caso di guerra»).
Ora Gabriele è aggregato al reggimento «gestione aree di transito»: perché gli uomini, per Strade Sicure, vengono selezionati da tutta Italia. E convogliati nei siti di interesse: «Arriviamo da una turnazione nazionale dei reparti dell’esercito, con mandato semestrale», spiega.
A Brescia Gabriele approda il primo luglio scorso. Un caldo mortale. «Ma siamo addestrati anche per questo» ci ride su. E servono ancora due mesi di formazione mirata per Strade Sicure: prevede «lezioni di primo soccorso, fondamenti di diritto e metodo di combattimento militare senza armi, per difenderci e bloccare coloro che vogliono generare disordine». O un attentato, perché è di questo che stiamo parlando. Come ci si convive? «Quando arriviamo sulla piazza sappiamo ciò che dobbiamo fare. Siamo sicuri di noi e del modo in cui comportarci: sia con chi ci chiede indicazioni, sia con chi, invece, cerca di creare scompiglio». Importantissima la collaborazione con il capo servizio e con le altre forze di polizia, tiene a precisare Gabriele: «Le assicuro, impariamo ogni giorno».
E la paura? Come si tiene a bada la paura? «Credo che il timore di un attentato ci sia sempre, dal primo giorno fino al trentesimo anno di servizio per un militare. Ma sono addestrato per questo: per prendere le decisioni migliori. Sappiamo discriminare, mi creda». Gli crediamo. «La paura tiene viva l’attenzione, tutto qui». E la gente apprezza: «In molti ci sorridono, ci salutano, ci ringraziano per la nostra presenza e per il lavoro che facciamo. Ecco, questo non me l’aspettavo, ma fa molto piacere. Perché se in qualche modo e nel tempo saremo stati utili, se la polizia dirà che la criminalità è diminuita e che il piazzale della stazione di Brescia è più sicuro, allora saprò che è anche merito nostro. E ne sono orgoglioso: sarà il riconoscimento delle mie scelte di vita». Scelte basate su «valori precisi» che partono da un presupposto: «mettersi a disposizione». E rafforzate «dalla realtà della pacca sulla spalla di un cittadino qualunque che mi ricorda mio padre piuttosto che, non me ne voglia, del mio comandante. Perché sappiamo bene cosa rischiamo noi, e cosa rischiano soprattutto gli altri».
Ma la discoteca? I locali? Il divertimento? Gli amici? Gabriele sorride. «La mia vita non è una rinuncia. Peraltro non avendo intrapreso subito questa strada ho assaporato anche quella tipica dei miei coetanei. Non era per me. La mia è stata una scelta consapevole: non un peso, ma un orgoglio. Anche per i miei genitori, nonostante li veda poco. L’esercito è una grande famiglia, dove si conoscono tanti ragazzi e si coltivano amicizie vere». Ma non una compagna, per adesso. Il futuro? in divisa, naturalmente. «Un concorso per l’avanzamento professionale di volontario in ferma prefissata di quattro anni, prima di tutto. Voglio restare effettivo, avanzare e magari andare in missione». In bocca al lupo.