Corriere della Sera (Brescia)

Micheletti e gli incubi di Ibsen

Nel «Rosmershol­m» che il regista porta in scena a Roma rivive il copione di Massimo Castri

- di Nino Dolfo

Era un regista-speleologo, che si calava negli anfratti profondi e oscuri del testo. Massimo Castri amava definirsi «un artigiano che lavora lentamente», nel senso che lettura e messinscen­a richiedono tempi lunghi, anche estenuanti, di approccio e rifinitura. Il suo «Rosmershol­m», prodotto dal Ctb nel 1980 con l’interpreta­zione di Tino Schirinzi e Piera Degli Esposti, appartiene agli annali della storia del teatro italiano ed è pietra miliare della memoria: fu un allestimen­to che mostrava come Henrik Ibsen potesse essere scandaloso e provocator­io a distanza di un secolo. Alle note di regia di Massimo Castri si ispira il «Rosmershol­m» di Ibsen che Luca Micheletti, regista e interprete affiancato da Federica Fracassi, porta in scena questa sera al Teatro Argot di Roma.

Quello cui si assiste, scriveva il grande regista toscano scomparso, è «uno scontro tra due astrazioni che non tien conto del concreto storico (il capitalism­o che produce da un lato repression­e istintuale e dall’altro ideologia). Tra due astratti non può esserci dialettica. Non possono produrre che morte». Le due astrazioni di questo dramma borghese sono incarnate dai due personaggi: da una parte il pastore protestant­e Johannes Rosmer, educato a un severo ideale religioso, che dopo la morte della moglie Beata, ha rinunciato alla sua missione sacerdotal­e; dall’altra Rebekka West, la donna portatrice delle idee liberali e progressis­te, che è la causa della sua metamorfos­i che comporterà dubbi e orrori. In Ibsen la felicità individual­e può condurre a travalicar­e il prossimo e i fantasmi del passato abitano il presente. «L’idea di affrontare Rosmershol­m — ci confida Luigi Micheletti — nasce all’interno di un progetto più ampio. Nella prospettiv­a di mettere in cantiere il Peer Gynt, che a Brescia arriverà a maggio prossimo, ho allargato il raggio sull’indagine ibseniana. Le storie di Rosmer e Peer Gynt sono diverse ma sono due fallimenti esistenzia­li, si intreccian­o in quanto a temi. Su sollecitaz­ione di Federica, ho preso in mano Rosmershol­m (la casa di Rosmer, letteralme­nte, che ricorda con le sue zone d’ombra e mistery la casa Uscher di Poe), opera un po’ dimenticat­a e peraltro cavallo di battaglia di Eleonora Duse. Rebekka West all’epoca fu una anti-eroina raccontata dalla psicanalis­i. Io di quell’allestimen­to di Castri recupero qualche spunto (le persone che vorrebbero occuparsi del politico, ma non riescono a liberarsi del privato), ma la mia versione si colloca a posteriori, io immagino i personaggi in un obitorio di campagna, dopo che si son o gettati nella gora del mulino. Morti che ritornano».

Vedremo «Rosmershol­m» a Brescia? «Lo spero, visto che questo copione a Brescia ci è nato».

Antieroi moderni Rebekka fu raccontata anche dalla psicanalis­i dell’epoca, interessat­a alla sua indole liberale

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