‘68, istruzioni per l’uso
Lo storico e cronista bresciano al lavoro su un nuovo testo
In funzione dell’anniversario cinquantennale del «68» — di cui sono già iniziate le «celebrazioni» — sto lavorando a un nuovo libro sull’argomento nel quale la narrazione sarà concentrata sulla genesi e la palingenesi di quel movimento che declinò una contestazione d’ordine globale.
All’epoca, forse anche per moda, noi nati in quella prima metà degli anni Cinquanta coincidenti con il boom economico, a causa della guerra in Vietnam, sulle sacche militari americane gonfie di libri e quaderni scrivevamo «Usa go home!». Con la guerra Rock’n’roll, come fu chiamata quella combattuta al 17° parallelo per la musica rock che ascoltavano i soldati americani, scoprimmo quel Sud Est Asiatico di cui non conoscevamo nemmeno l’esistenza.
Sulle note di Give me Shelter dei Rolling Stones, con Mick Jagger che invocava per i bambini un rifugio da quelle pallottole vaganti, crebbe un’intera generazione. Generazione Vietnam. E fu proprio quella guerra a diventare collante per una contestazione destinata a diventare «Il Sessantotto». Un movimento che, partito dai campus americani, avrebbe presto attraversato l’oceano per raggiungere tutto il mondo, Europa e Italia compresa.
Era nato tutto anni prima, cioè in quel 1964 in cui Mario Savio, uno studente di chiare origini italiane, aveva acceso le polveri della contestazione nell’università californiana di Berkeley.
Una contestazione che si propagò anche con le canzoni di Bob Dylan, che oltre a chiedersi quanta strada dovesse fare un uomo prima di essere chiamato uomo (Blowin’ in the wind), augurava ai signori della guerra di morire presto (Masters of war). In Italia il primo focolaio s’accese nel liceo Parini di Milano nel 1966, quando «La Zanzara», il giornale d’istituto redatto da alcuni studenti fra cui Walter Tobagi, provocò uno scandalo nazionale per un’inchiesta sul- la sessualità femminile. Tutto fu poi sedato, ma intanto le scintille avevano raggiunto le università.
Le prime a esserne investite furono quelle di Trento, Torino, Milano, Pisa, finché, il 1° marzo 1968 il «Sessantotto» esplose a Roma con la cosiddetta «Battaglia di Valle Giulia», cioè gli scontri fra studenti e polizia davanti alla facoltà di Architettura.
Per la prima volta gli studenti si organizzarono per rispondere colpo su colpo alle forze dell’ordine. Un altro segno distintivo di quella «battaglia» fu l’unione: fianco a fianco si ritrovarono giovani comunisti, socialisti, repubblicani, liberali, cattolici, fascisti, e anche senza alcun orientamento politico. Il movimento dilagò poi in modo inarrestabile, raggiungendo come un’onda sul piano della comunicazione anche i paesi più sperduti, seppur con tempi diversi.
I risultati di quel movimento si sarebbero visti col tempo. Destinato a perdere sul piano politico (ché nulla cambiò), il 68 vinse su quello dei costumi, dei rapporti interpersonali nel mondo del lavoro, la scuola, la famiglia. (Chiamato a essere interrogato in latino per la seconda volta di seguito in due giorni, mi rifiutai di uscire e quando tornai a casa dissi a mio padre che in quella scuola non avrei mai più messo piede. E così era stato. Era il gennaio del 1969 e ciò era impensabile fino a qualche mese prima).
Se si dibatte animatamente sulle responsabilità del ’68 sulla genesi del terrorismo, non c’è storico che non riconosca a quel movimento un’unicità irreplicabile. (Leggere ad esempio il movimento del ’77 come figlio del ’68 significa non avere capito le diverse e contrapposte anime dei due movimenti: il primo, di natura borghese nonché figlio di un benessere rifiutato in quanto espressione di un consumismo sfrenato, il secondo, di una crisi economica e sociale che portò in piazza giovani che — contrariamente ai loro fratelli maggiori — non avevano prospettive). La diffusione del «68» fece sì che anche nei più sperduti angoli del paese i giovani avessero modo di rivendicare una autonomia che passava perfino per i capelli (anche lunghi, volendo) e le gonne (anche corte, volendo).
La contestazione del ‘68 ci ha lasciato insomma una eredità laica… incontestabile.
La contestazione globale partita da Berkeley dilagò in Europa e Italia Università Furono investite le città di Trento, Torino, Milano e Pisa, prima della battaglia di Valle Giulia Doppia lettura Il movimento perse sul piano politico ma incise a fondo sul piano sociale e del costume