Giustizia e profughi Un nuovo «pool»
Al 30 giugno sopravvenute oltre 2.200 cause (di primo grado)
Giustizia civile e immigrazione al centro di un incontro (con gli studenti) in tribunale. L’occasione per «presentare» anche la nuova Sezione specializzata proprio in materia di immigrazione e protezione internazionale, operativa dal 7 settembre e l’Upi (ufficio per i processi per l’immigrazione). Basti pensare che in primo grado, dal primo luglio 2016 al 30 giugno scorso di procedimenti in materia di protezione internazionale ne sono sopraggiunti 2.264 (1.380 definiti, per una pendenza finale di 1.807 cause). In Corte d’appello, invece, quest’anno un terzo delle cause (circa mille) riguardano temi legati all’immigrazione.
Non è solo una questione sociale. Culturale o economica. Oggi è anche (e non da meno) una parabola giudiziaria. Ed è proprio nella Giornata europea della giustizia civile che i vertici del distretto si confrontano con un’immigrazione che va «oltre l’emergenza». Davanti a decine di studenti attenti e incuriositi.
Una premessa: nessuna «crisi». Piuttosto, «un fenomeno che esiste da sempre, dai tempi dell’impero romano e del pretor peregrinus, ma che di certo ha assunto dimensioni notevoli». A cui bisogna far fronte «nel rispetto dei diritti inviolabili dell’uomo». Anche in aula. Brescia è pronta, come sempre. Con le sue «risorse a disposizione molto spesso insufficienti rispetto alle necessità» (lo ribadisce il procuratore generale Pierluigi Maria Dell’Osso) ma con un tempismo e un impegno invidiabili.
I primi numeri (piuttosto rilevanti) li snocciola il presidente della Corte d’appello Claudio Castelli: «Sulle oltre 3mila cause civile sopraggiunte quest’anno, circa mille, quindi un terzo, sono legate ai temi dell’immigrazione», come le richieste di asilo, per intenderci. In primo grado, al tribunale, invece, dal primo luglio 2016 al 30 giugno scorso di procedimenti in materia di protezione internazionale ne sono sopraggiunti 2.264 (1.380 definiti, per una pendenza finale di 1.807 cause).
Non è un caso se dal 7 settembre scorso — come ricorda con orgoglio il presidente del Tribunale Vittorio Masia — anche a Brescia, così come negli altri 25 tribunali distrettuali italiani — da richiesta specifica del Consiglio superiore della magistratura è operativa un’apposita «Sezione specializzata» costituita ex novo «in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea» (a seguito del decreto legge datato 17 febbraio 2017). Come comunicato dal presidente in persona, nero su bianco, con decreto, la sezione si occupa di «diritti della cittadinanza, impugnazione ai dinieghi dello status di rifugiato, convalida dei provvedimenti del questore per il tratzione tenimento nei centri di permanenza e ricongiungimenti familiari». Incardinato nella nuova sezione, è nato anche «l’ufficio per il processo per l’immigrazione» (ne faranno parte un coordinatore, due giudici, 8 got e 4 stagisti). «Due unità organizzative — commenta Masia — che danno il segno di quanto abbiamo recepito le disposizioni per occuparci in modo concreto di questi temi di convivenza civile».
L’organico della nuova Se- prevede un presidente, 5 giudici (da attingere nel settore penale o civile) e o onorari del tribunale (got). Ad oggi ce ne sono tre effettivi («ma presto se ne aggiungeranno altri due»): la presidente, Maria Rosa Pipponzi — che è a capo anche della sezione lavoro — e due togati. «Ho accolto questo invito con entusiasmo — dice lei — che nasce da una consapevolezza: essere privilegiata. Perché ricordatevelo, ragazzi, godere dei diritti fondamentali dell’uomo non è scontato. Quindi ho deciso di dare il mio contributo a chi questo privilegio non ce l’ha». E non è semplice: al giudice tocca cooperare nella ricerca della prova, «e non solo non siamo abituati a farlo, il punto è che non sempre la soluzione di diritto corrisponde a quella reale». Non solo. Nel tentativo di capire se queste persone hanno o meno il diritto di protezione che chiedono, ci spiega la presidente, inevitabilmente, «ci scontriamo con il pregiudizio».
Alla memoria, e in aula, tornano le parole di Hanna Arendt, ebrea, perseguitata dalla Germania e lasciata apolide: «Una crisi ci costringe a tornare alle domande, esige da noi risposte nuove o vecchie, purché scaturite da un esame diretto, e si trasforma in una catastrofe solo quando noi cerchiamo di farvi fronte con giudizi preconcetti, ossia pregiudizi, aggravando così la crisi e per di più rinunciando a vivere quell’esperienza della realtà, a utilizzare quell’occasione per riflettere, che la crisi stessa costituisce».
Castelli Un terzo delle 3mila nuove cause legato all’immigrazione Masia Nuova Sezione e Upi i segni del nostro impegno concreto