Conflitti familiari, soluzioni dalla «pratica collaborativa»
«Mi resi conto che la vera funzione dell’avvocato è di unire le parti che si sono disunite». Così scriveva Gandhi, negli anni della sua attività. Dalle sue parole sembra questa la via, soprattutto in materia di diritto di famiglia: contenere il conflitto e superarlo. Il che non significa la riconciliazione delle parti, ma una soluzione condivisa attraverso nuovi metodi.In questa direzione va la «Pratica Collaborativa», un metodo innovativo introdotto in Italia nel 2010, che l’Associazione italiana professionisti collaborativi presenta a Brescia oggi alle 16 all’Hotel Vittoria con l’aiuto del Practice Group della Lombardia Orientale, di cui è Referente l’avvocato Paola Orlandi di Castiglione.
La pratica collaborativa è nata grazie a un avvocato divorzista del Minnesota, Stuart Webb, che nel 1990 si rifiutò di esercitare la professione di legale avversariale, dichiarando a un giudice della suprema corte che era urgente trovare un altro modo per risolvere i conflitti familiari. La pratica collaborativa è un metodo non contenzioso per risolvere i conflitti che prevede la partecipazione alla trattativa, oltre che degli avvocati e delle parti interessate, anche di altre professionalità: esperti in comunicazione, psicologi e consulenti finanziari. In questo modo si affronta la crisi famigliare a 360 gradi e in modo condiviso, quasi «costruendo» la propria separazione. AIADC, con circa 260 soci in Italia, fa parte dell’associazione internazionale IACP, International Association Collaborative Professionist che condivide il metodo di questa pratica in tutto il mondo. «È proprio l’articolazione ai diversi livelli — locale, nazionale, internazionale — della nostra comunità collaborativa che ci fa sentire parte di qualcosa di più grande di ciascuno di noi, tutti legati dall’obiettivo di realizzare un progetto comune» spiega Carla Marcucci di Lucca, presidente dell’Aiadc.