IUS SOLI E CIMITERI
Eccolo, lo ius soli che nessuno potrà più cancellare. Sono i pezzi di camposanto sempre più ampi occupati dalle tombe e dalle croci degli stranieri che qui muoiono ogni anno perché qui, fra di noi, vivono. Inutile negarlo. Ancora desta sorpresa, fa qualche impressione, entrare in questi giorni di riti della memoria nei nostri cimiteri e leggere, nelle prime file delle sepolture, in misura sempre più cospicua, i nomi di uomini, donne, bambini stranieri, extracomunitari, liberamente mescolati con i cognomi più tradizionali e secolari delle famiglie che hanno dato identità e storia alle singole comunità. Per le prossime generazioni quei nomi slavi o africani saranno memoria comune di quei luoghi,di questi nostri paesi, di questa nostra città. Quelle sepolture sono l’ineludibile testimonianza che la prima ondata di immigrazione è conclusa, è diventata parte della nostra quotidianità. I dati, le analisi, le statistiche fornite la scorsa settimana dal centro studi dell’Università Cattolica dicono che l’immigrazione nella nostro provincia è in calo. Ma gli stranieri presenti sono più di centosessantamila in tutta la provincia, quasi quarantamila in città. Su cento bimbi che vanno a scuola venti sono extracomunitari. Si sono modificate le geografie, le economie e le nazionalità. I sikh dominano l’agricoltura e per questo si concentrano nella Bassa, in fonderia ci vanno in prevalenza i senegalesi che abitano le medie valli e la periferia della città, le ucraine hanno l’esclusiva del sistema badanti e dormono in centinaia di case dei bresciani sparse sull’intero territorio provinciale, unico sostegno a migliaia di anziani. Non c’è settore dell’economia bresciana che non segnali presenza di stranieri. Molti, moltissimi di loro hanno occupazione piena, comperano case, pagano i contributi, cumulano risparmi, alimentano i consumi. Insomma l’immigrazione sta trasformando, dalla culla alla scuola, al lavoro, alla bara, la società bresciana. Eppure non ci riesce questo ultimo tassello dell’integrazione: che non è lo ius soli, pure necessario. Ma è la cittadinanza attiva, utilizzare cioè appieno le risorse, le energie, le capacità dei singoli. Essere integrati nella comunità vuol dire essere riconosciuti, ed insieme riconoscere, partecipare alla vita collettiva. Sabato scorso quattromila bresciani hanno sfilato in città, con 28 sindaci, per sollecitare l’accoglienza legale ai tremila richiedenti asilo ancora senza riconoscimento in provincia di Brescia. È uno dei temi da affrontare, ma tutto dentro l’idea che lo sforzo è complessivo: riconoscere tutte le differenze, le loro e le nostre, per far crescere insieme il territorio.