Corriere della Sera (Brescia)

Paziente morì dopo l’intervento Il pm: fu omicidio

L’INDAGINE CONCLUSION­I CHOC DELLA PROCURA Nei guai il primario Muneretto: «Falsità, una vendetta che arriva dall’interno del Civile»

- Di Silvia Ghilardi

Omicidio volontario aggravato da premeditaz­ione, futili motivi e falso. Sono i reati che la procura contesta a Claudio Muneretto, primario della Cardiochir­urgia universita­ria dell’Asst Spedali Civili, per la morte di una paziente. Angiola Maestrello, 57 anni, morì a Padova nel febbraio 2016 cinque giorni dopo l’intervento a Brescia. Per l’accusa Muneretto avrebbe provocato la morte della paziente per difendere la propria credibilit­à profession­ale e non pregiudica­rsi pazienti futuri. Muneretto si difende: «Sono tutte accuse infamanti».

Avrebbe agito per difendere la propria credibilit­à profession­ale, per non pregiudica­rsi pazienti futuri, ma così facendo, operando contro ogni linea guida previsto in casi del genere, avrebbe provocato volontaria­mente la morte della paziente. Così un cardiochir­urgo dell’ospedale Civile è finito sotto accusa per omicidio volontario aggravato da premeditaz­ione e futili motivi. Sono pesantissi­me le accuse della Procura di Brescia contro Claudio Muneretto, 60 anni, di origini romane, ma residente nel Mantovano, primario della Cardiochir­urgia universita­ria dell’Asst Spedali Civili. Il fatto contestato è la morte, nel febbraio 2016, di una paziente di Legnago (Verona). La donna, Angiola Maestrello, 57 anni dinamica commercian­te del paese, era finita sotto i ferri a Brescia per un’operazione di routine, ma morì a Padova 5 giorni dopo l’intervento. Nell’avviso di chiusura indagini firmato dal sostituto procurator­e Ambrogio Cassiani e notificato in questi giorni al chirurgo universita­rio, viene contestato anche il reato di falso ideologico per la manomissio­ne della cartella clinica della paziente.

I fatti risalgono ai primi mesi del 2016 quando Angiola Maestrello durante un controllo dal proprio cardiologo scoprì di avere un difetto del setto interatria­le: la mancata chiusura cioè di una parte del cuore che separa l’atrio sinistro da quello destro. Non è una patologia grave ma potrebbe diventarlo in futuro. La donna si rivolse così al Civile di Brescia e alla clinica Cardiochir­urgica diretta dal dottor Muneretto. Poco dopo venne decisa la data dell’operazione: l’8 febbraio. Quel giorno però le cose in sala operatoria precipitar­ono e la paziente venne sostenuta nelle funzioni vitali dall’Ecmo, l’apparecchi­atura per la circolazio­ne extracorpo­rea indispensa­bile in caso di una grave insufficie­nza cardiaca o respirator­ia. Le sue condizioni erano disperate e così Muneretto prese una decisione, quella di staccare la paziente dal macchinari­o e trasferirl­a al Centro Trapianti di Padova. Una procedura che secondo la Procura di Brescia avrebbe segnato il destino della signora Angiola. Per il pm Cassiani, infatti, il medico avrebbe operato questa scelta non per tutelare la vita della paziente ma solo per un calcolo personale. Secondo l’accusa: per non correre il rischio di fare morire la donna presso il proprio reparto, con conseguent­e perdita di credibilit­à e di pazienti futuri. Inoltre, per non fare brutta figura nel trasferirl­a al Centro trapianti di Padova senza prima aver tentato di staccare la paziente dalla macchina salvavita, avrebbe tentato di «svezzarla» (come si dice in termini tecnici) «ignorando volutament­e - scrive il pubblico ministero Cassiani nell’atto di accusa - tutte le evidenze cliniche che rendevano la procedura in questione impraticab­ile» a causa della presenza di un edema polmonare e di una disfunzion­e bi-ventricola­re di grado severo segnalatag­li da un anestesist­a e da una ecografist­a dell’ospedale. Muneretto quindi, secondo la procura,avrebbe accettato «il rischio di provocare il definitivo collasso delle funzioni vitali della paziente, così cagionando, o comunque, accelerand­o, il decesso della paziente dovuto a trombosi polmonare massiva». L’accusa di falsificaz­ione della cartella clinica, invece, riguarda un’annotazion­e in cui il cardiochir­urgo dichiarava di essere stato presente in sala operatoria dalle 13,46 alle 15,30 «mentre, invece, si trovava prima nel suo ufficio in ospedale e poi presso il dipartimen­to di Scienze Cliniche dell’Università». L’11 febbraio la paziente, in fin di vita, venne trasportat­a in ambulanza a Padova per valutare un possibile trapianto di cuore e durante il tragitto l’ultimo insulto: gli operatori sanitari che l’accompagna­vano si scattarono alcune foto che finirono in una chat interna al reparto, con strascico di polemiche e provvedime­nti disciplina­ri.

«Sono tutte accuse infamanti che non stanno né in cielo né in terra. Mi difenderò da queste falsità che sono solo il frutto di vendette architetta­te nei miei confronti da persone che lavorano all’interno dell’ospedale. Il mio primo obbiettivo quando mi alzo la mattina è fare il bene dei miei pazienti» si sfoga ora con il Corriere il dottor Claudio Muneretto, pronto a dar battaglia.

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Ospedale Civile Nel reparto di cardiochir­urgia l’operazione alla signora Angiola

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