Corriere della Sera (Brescia)

Un treno per Auschwitz e la capacità dei ragazzi di lasciarsi coinvolger­e

- Di Rolando Anni © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Dal 3 al 7 novembre si è svolta la dodicesima edizione di «Un treno per Auschwitz», organizzat­o dall’Archivio storico Bigio Savoldi e Livia Bottardi Milani della Camera del Lavoro di Brescia con il consueto impegno per condurre oltre seicento studenti a visitare Auschwitz. Cosa significa questo progetto, oggi, per i giovani? Non bisogna nascondere un rischio grave: quello che la proposta sia simile a tante altre, senza un autentico coinvolgim­ento dell’intelligen­za e insieme dei sentimenti degli studenti a cui è destinata. Un pericolo che è stato evitato grazie allo studio e alla lunga preparazio­ne ad un viaggio non facile. In primo luogo i partecipan­ti hanno letto, studiato e approfondi­to il libri di Primo Levi. Poi gli studenti sono giunti a guardare con i propri occhi, in inattese giornate di splendido sole, la realtà, le cose. Quelle apparentem­ente più insignific­anti insieme a quelle più coinvolgen­ti ed emozionant­i: il filo spinato, le baracche allineate a perdita d’occhio, le macerie delle camere a gas e dei forni crematori di Birkenau, fatti saltare dai tedeschi prima di abbandonar­e il lager. E poi, nelle fotografie di identifica­zione, i visi spaventati dei deportati, che assumono tuttavia tutta la loro dignità umana. In questo caso anche le cose, con la loro semplice e muta presenza parlano (sunt lacrimae rerum, anche le cose piangono, scriveva Virgilio duemila anni fa). E poi il grande libro della memoria, ancora incompiuto e custodito nel museoblocc­o di Israele, che vuole raccoglier­e i nomi del milione e duecentomi­la ebrei uccisi a Auschwitz. Il nome, infatti, esprime l’essenza di ogni persona e conservarl­o significa conservare per sempre la sua memoria. E poi l’ascolto del concerto del gruppo bresciano dei Klezmorim, che cantano e danno voce alla raffinata, coinvolgen­te e gioiosa musica popolare dello shtetl, la cittadina ebraica dell’Europa orientale. In questi villaggi, così come nei quartieri ebraici delle città, nacquero la letteratur­a, il teatro e la musica yiddish, una cultura che è scomparsa insieme allo sterminio delle persone che in quei luoghi vivevano. Tutto questo è stato intuito e conosciuto dagli studenti attraverso un’esperienza concreta che, al di fuori di ogni retorico sentimenta­lismo, ha lasciato un segno profondo destinato a durare.

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