Un telefonino, due generazioni
Aldo Cazzullo presenta domani, a Chiari e a Castenedolo, il suo nuovo libro «Metti via quel cellulare» scritto insieme ai figli Francesco e Rossana su un tema «caldissimo» Il padre: «Cyber-bullismo, youtuber, idoli del web, nuovi politici. Parliamo di tut
Èavvenuta una mutazione antropologica o si tratta di uno scatto evolutivo di civiltà? Il web ha cambiato il mondo e lo ha diviso tra pro e contro, tra umanisti alla riscossa e internauti allo sbaraglio. La polemica non si placa, assume i toni oracolari del saggio oppure si insinua tra le mura domestiche. Alcuni dicono che l’empatia si sta estinguendo in seguito al deficit di attenzione provocato dall’iperconnessione, all’impossibilità di sentirsi qui e ora, quando si vuole essere virtualmente altrove. Altri invece negano che sia la causa di un cretinismo di massa, anzi, dicono, è una opportunità di acculturazione, di informazione, di stare al/nel mondo.
Aldo Cazzullo, inviato ed editorialista del Corriere della Sera, ma anche divulgatore che coniuga la passione con il rigore, fa passare il dibattito nel tinello di casa. «Metti via quel cellulare» è una locuzione che è entrata nel lessico familiare degli italiani, genitori e nonni. Non a caso è il titolo di un libro a tre voci e dal ritmo serrato, scritto da Cazzullo senior e dai due Cazzullo juniores. Francesco e Rossana. Il padre li mette in guardia sulle insidie e sugli effetti collaterali, i figli tengono botta, non demordono, con motivazioni che non fanno una grinza, a riprova che la verità non ha mai un solo punto di vista.
Un bel pareggio, senza supplementari e calci di rigore. Il campionato continua? Lo chiediamo al padre.
«All’inizio stavo per fare una predica, un’invettiva, poi mi sono reso conto che avrebbe funzionato di più un dialogo. Il libro è ambientato in famiglia e racconta come il cellulare stia cambiando la quotidianità, le vacanze, le cene in pizzeria, le relazioni. Poi ci mettiamo a parlare di tutto: scuola, cyberbullismo, gli youtuber e l’elogio dell’ignoranza, gli idoli vuoti del web con i milioni di followers, l’educazione sentimentale affidata a YouPorn, i nuovi politici incarnati da Grillo e Trump, la nuova economia. Ma anche i lati positivi: i nonni che imparano a usare le chat per parlare coi nipoti, la rivolta contro le dittature, la nascita di una gioventù globale unita dalla rete. A volte riconosco che hanno ragione, a volte no».
Lo schermo del computer dovrebbe essere un servo e invece è il mostro padrone. È questo il problema?
«Ha ragione Altan quando dice: è record, ogni cellulare possiede un italiano. Questo è un aspetto, l’altro invece è che i padroni della rete stanno diventando i padroni delle anime. La rivoluzione digitale è la prima della storia dell’umanità in cui i padroni sono considerati i buoni. Nella rivoluzione industriale i padroni erano i cattivi, gli sfruttatori. Oggi invece consideriamo benefattori questi miliardari californiani che distruggono più lavoro di quello che creano, sanno tutto di noi, accumulano molto denaro e molto potere perché l’informazione è potere e pagano malvolentieri le tasse».
La tecnologia, che dovrebbe essere un mezzo, diventa un fine. Un tema caro a Emanuele Severino. È questo il rischio?
«La tecnologia è la nuova ideologia, il totem adorato un po’ da tutti. Indubbiamente ci migliora la vita, ma dobbiamo essere sempre noi a padroneggiarla. Oggi la rivoluzione digitale incrocia l’altra grande rivoluzione del nostro tempo: la rivoluzione dell’intelligenza artificiale, addirittura la clonazione. Siamo entrati nell’era della riproducibilità tecnica della vita, l’uomo crea l’uomo o ha l’illusione di farlo. L’uomo nuovo, il nuovo robot, avrà un computer per cervello e la rete come memoria. Sarà più intelligente di noi e saprà più cose. Speriamo che continui ad ubbidirci. Non voglio essere catastrofista, valuto i rischi. I veri nativi digitali non sono i miei figli, sono i bambini oggi in età pre-scolare ancora, che usano il tablet prima ancora di saper leggere e scrivere. È un esperimento di cui non conosciamo i risultati».
«Oggi consideriamo benefattori questi miliardari californiani che sanno tutto di noi»