Lavoro 4.0, luci e ombre
La presentazione Daniele Checchi domani all’Accademia Cattolica di Brescia per parlare dei rapporti tra diseguaglianza, mobilità sociale e istruzione
Di effetti sociali, economici e politici delle innovazioni tecnologiche si parlerà domani alle 18 nella conferenza di Daniele Checchi su «Tecnologie, competenze e mondo del lavoro» presso l’Accademia cattolica di Brescia (Via Gabriele Rosa 30). Il relatore, ordinario di Economia politica presso l’Università Statale di Milano, non solo è tra i maggiori esperti del problema, ma si è anche interessato dei rapporti tra diseguaglianza, mobilità sociale ed istruzione. P rofessore, il mondo del lavoro appare non solo trasformato ma risulta quasi indefinibile con le categorie classiche...
«Il cambiamento tecnologico più rilevante degli ultimi quarant’anni è stata l’introduzione dell’ICT (information and communication technology). Questo ha modificato le caratteristiche della prestazione lavorativa (dal contratto di cessione di “mano d’opera” al “cervello d’opera”) ma ancor di più l’organizzazione del lavoro, permettendo lo smembramento del processo lavorativo tra più imprese e/o più territori: è ciò che chiamiamo delocalizzazione. Questo ha prodotto una redistribuzione su scala mondiale del lavoro, con evidenti conseguenze sulla tipologia dei lavori disponibili su base nazionale nei paesi sviluppati, al punto che ad apparire dominante è un processo di “polarizzazione” tra paesi ricchi e paesi poveri, tra abbienti e non abbienti all’interno delle singole nazioni».
Cosa ha significato per i lavoratori questo duplice processo di delocalizzazione e polarizzazione?
«Dal punto di vista delle politiche del lavoro, questo duplice processo è stato accompagnato da politiche dal lato dell’offerta intese piuttosto ad accrescere la flessibilità della prestazione lavorativa che non a sostenerne l’occupabilità attraverso politiche dal lato della domanda. Il risultato che ne è conseguito è quello di una riduzione generalizzata del livello delle tutele individuali a beneficio dei lavoratori ed un indebolimento della relazione tra lavoratore ed impresa (per effetto dell’aumento del turn-over interaziendale)».
Di qui quel il senso di precarietà che appare dominante tra chi ha una occupazione o in cerca di lavoro?
«Tutto quanto abbiamo descritto si riflette in un accresciuto senso di insicurezza ed incertezza rispetto al futuro, che accentua l’impossibilità di progettazione di profili di carriera di lungo periodo e riduce la capacità di far fronte ad eventi inattesi per via della diminuita capacità di risparmio. Nel momento in cui si accresce la necessità di interventi redistributivi e assicurativi tipici dello Stato sociale, questi vengono indeboliti e ridotti nelle prestazioni per via dell’accentazione del rispetto dei vincoli di bilancio».
Come si riflette questo insieme di fenomeni sul piano della formazione e della istruzione?
«È indubbio: le politiche formative appaiono disorientate. Da un lato v’è la pressione a seguire la corrente, rafforzando la capacità di adattamento degli individui al cambiamento, da cui l’enfasi sulle competenze trasversali. Dall’altro vi è il desiderio – per lo più contraddittorio - di indirizzare gli studenti verso campi di studio che siano strategicamente rilevanti nella concorrenza tecnologica tra le aziende. Di qui la domanda: di fronte al ridefinirsi delle strutture sociali nazionali, non si indebolisce ulteriormente una delle funzioni tradizionali dei sistemi scolastici, che è quella della riproduzione della formazione delle élites e della riproduzione della stratificazione sociale?». Un circolo vizioso – aumento delle diseguaglianze e indebolimento culturale delle élites – che appare il cuore della crisi italiana.
Trasformazioni Il cambiamento più rilevante degli ultimi quarant’anni è stata l’introduzione dell’ICT Precarietà Sempre più accresciuto il senso di insicurezza ed incertezza rispetto al futuro