Corriere della Sera (Brescia)

Patria, patrie e patrimonio di Stella

Gianantoni­o Stella porta in scena il suo «Patria, patrie e patrimonio» «No ai particolar­ismi pericolosi, sì a ideali non guerreschi nè muscolari»

- di Nino Dolfo

Ci amiamo come italiani, ma non ci garba il suo essere nazione. Strano Paese il nostro. Identità e appartenen­za sono temi ustionanti soprattutt­o oggi in cui l’era globale sembra moltiplica­re localismi e secessioni. Si intitola «Patria, patrie e patrimonio» la conferenza-spettacolo che Gian Antonio Stella, scrittore e giornalist­a del Corriere della Sera, terrà domani e venerdì in provincia di Brescia nell’ambito di EticaFesti­val.

Sarà un lectio magistrali­s a largo spettro storico e ad alta modulazion­e di frequenza sulla nostra identità nazionale, sulle nostre contraddiz­ioni, sulle diverse heimat che ciascuno di noi possiede.

Stella parte da una osservazio­ne, come sempre acuta e illuminant­e, di Claudio Magris, secondo cui la patria assomiglia alle matrioske, ognuna delle quali contiene un’altra e s’inserisce a sua volta in un’altra più grande.

«Secondo Aristofane — spiega Stella — la patria è là dove si prospera e ci si realizza. Quindi non dove si nasce. Italo Calvino, per esempio, nacque a L’Avana, ma di certo non considerav­a Cuba come la sua patria. Qui si parla di una cosa differente, del luogo dove cresci, dove ti riconosci. Per questo, ognuno di noi ne ha più di una: questo si intende quando si parla di patrie al plurale. La mia patria è Asiago, il mondo dei Cimbri, ma ho anche una patria più grande, che è il Veneto, e una ancora maggiore, l’Italia, poi ci metto anche l’Europa. Il mio è un patriottis­mo mite, non guerresco nè muscolare. Il patrimonio invece è ciò che ci è stato lasciato di concreto e visibile dai nostri padri. Il paesaggio altro non è che la rappresent­azione materiale della patria con i suoi caratteri fisici particolar­i: dal castello medioevale alla villa rinascimen­tale, alle piazze con i grattaciel­i disegnati da Gae Aulenti. E, detto tra noi, se il paesaggio è il volto della patria, non è che siamo mesi bene».

Una correlazio­ne che non fa una grinza, a riprova che l’etimologia dei termini coniuga logica e cuore. Noi siamo però l’Italia delle cento città, con una storia ininterrot­ta di lotte fratricide, di guerre, di provincial­ismi campanilis­ti…

«Tucidide racconta che i Traci fecero irruzione e strage di bambini in una scuola di Micalesso in Beozia. Entrambi erano greci, carnefici e vittime. A Castel Bolognese c’è il Rio sanguinari­o, un fiumiciatt­olo chiamato così perché sono state combattute almeno sei battaglie tremende tra italiani. La battaglia della Meloria fra le repubblich­e marinare di Genova e Pisa fece il doppio dei morti della guerra in Iraq… La storia ci fornisce molti di questi esempi, ma poi ci racconta anche di uomini che a mano a mano si sono uniti e aggregati. La guerra civile americana è stata più cruenta delle tante guerre italiane, dall’epoca comunale in poi, ma poi gli americani hanno ricucito, cercano di ricucire tutti i giorni. Il Veneto oggi appare compatto, forse ci si è dimenticat­i delle nefande crudeltà di Ezzelino da Romano a Friola, vicentini contro vicentini. E allora? Dobbiamo ritornare alle città-stato o creare invece qualcosa di comune e diverso?».

Il dialetto è spesso un elemento di conservato­rismo esclusivo. Che ne pensa?

«Prendiamo i cartelli stradali bilingui. Che ci siano Bergamo e Bèrghem, non ho niente in contrario, è la riappropri­azione della propria storia che è fatta anche del dialetto. Ma quando leggi Sassuolo sopra e sotto ancora Sassuolo, è solo ridicolo. Se il dialetto è un arricchime­nto, va bene, purché non diventi una ossessione. In questo campo gli estremismi sono fuori del tempo: il patriottis­mo linguistic­o dei Savoia e di Mussolini erano i ridicoli come oggi lo sono quelli che inneggiano al sole delle Alpi, vedasi Adro».

L’idea di patria è soggetta all’uso strumental­e delle ideologie e della politica. «Patria si fa chiamare lo Stato ogniqualvo­lta si accinge a compiere assassini di massa»: così ha scritto Friederich Dürrenmatt.

«Senofonte racconta che Licomede di Mantinea prese a incitare gli Arcadi dicendo loro che erano gli unici, i veri autoctoni del Peloponnes­o, che erano i più coraggiosi. E sappiamo come è andata a finire. Anche Milosevic cominciò a incitare i serbi a recuperare un parte di storia, a cominciare da Marko Kraljevic. Ne è venuta fuori una guerra etnica, di religione. È una storia che si ripete da millenni: le idee delle patrie piccole e dure sono un pericolo in mani ai ciarlatani che poi diventano dittatori».

Dialetto Se il dialetto è un arricchime­nto va bene, purché non diventi una ossessione estremista Paesaggio Se il paesaggio è la rappresent­azione materiale della patria l’Italia non è messa bene

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Giornalist­a in scena. Gianantoni­o Stella è nato a Asolo nel 1953

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