Corriere della Sera (Brescia)

Marras Una sfilata di opere

L’artista-stilista alla Galleria Minini e alle ex Cantine Folonari

- di A. Troncana

Tappezzeri­e strappate, nudi di donna e lampade da rigattiere dietro vecchie porte di vetro. Sottovesti consunte degli anni Cinquanta appese al soffitto che danzano come orfanelle e proiettano la loro ombra sul pavimento. Il ritratto di Massimo Minini su un manifesto della mostra Dada sbavato dalla pioggia e strappato da un muro: Antonio Marras l’ha appoggiato a un vecchio arazzo sardo, in fondo alla parete.

Grembiule nero e mani sporche di vernice nera — «Sembro un meccanico» —, lo stilista sardo ma apolide ha portato da Minini il suo lato recondito: collage, dipinti, installazi­oni, e una piccola «sala della poesia» per voyeur. La vernice di «Seipersei», la mostra allestita in galleria (via Apollonio, fino al 21 gennaio) è stasera, alle 18.

Marras è un collezioni­sta bulimico di frammenti di carta, lacerti consunti di stoffa, memorie. Li accumula in cassetti, armadi, magazzini, rispostigl­i, cantine. Li incolla sulla carta e li imbeve di inchiostro. Poi ci disegna mani sottili e unghie laccate di rosso, occhi bistrati di nero, chignon disordinat­i, fili aggrovigli­ati. La mostra inizia con questi collage: sei fogli a sinistra e sei fogli a destra. «Seipersei». «Durante i miei viaggi ritaglio cose che mi interessan­o, le metto in valigia, le accumulo, me le dimentico, poi le ritrovo e le incollo sulla carta — racconta —. Ci passo sopra con penne, matite, acquarelli e fondi di caffè. Questi li ho fatti pensando a Minini. Ma in realtà non avevo nessuna idea. Non avrei mai pensato a cornici così minimal, le ha scelte Massimo, ma quando le ho viste mi sono sembrate perfette. Abbiamo due modi di vedere le cose opposti, ma siamo in una sintonia perfetta. Io inizio una frase, lui la finisce».

I due dioscuri di nero vestiti sono evasi dalla galleria per lace sciare un segno precario e sovversivo nelle vecchie Cantine Folonari con una performanc­e che va in scena stasera, alle 21.30. Il titolo è una canzone di Rita Pavone che stavano cantando al telefono: «Mio cuore, tu stai soffrendo. Cosa posso fare per te?». «Un titolo alla Wertmuller: è una performan- molto tosta, fatta di dieci piccoli quadri. Sono storie, situazioni, momenti. Frammenti connessi tra loro della mia e di altre vite. C’è tutto ciò che mi interessa: danza, poesia, moda. Sarà una cosa sconvolgen­te. Quando ho visto le cantine, sono impazzito: ho lavorato sul luogo». Marras cerca le sue muse in ritagli di carta, ricordi slabbrati, cenci e viaggi intorno al mondo, ma il suo segno artistico è contagiato dai suoi «stracci», come chiama gli abiti che a ogni sfilata provocano svenimenti di estasi e conversion­i al colore anche nelle giornalist­e di moda perennemen­te vestite a lutto. «Con la moda combatto e convivo: mi dà lo spunto per altre discipline. E non metto mai limite allo sconfiname­nto: ogni cosa diventa altro. Sono nato libero, non mi sono mai posti limiti o freni. Tutto torna, ma una volta che tocchi, manipoli, allora diventa altra roba».

Contamina, assorbe, trasfigura, esonda: «Disegnavo fin da bambino, ma mi sono sempre vergognato delle mie cose. Fu Maria Lai che un giorno mi obbligò ad aprire uno dei miei angoli nascosti, a tirare fuori i miei schizzi e a mostrarli. Poi mi hanno chiesto di allestire una mostra in Triennale, a Milano, a condizione che non mettessi abiti. Ho accettato subito. E lì ho incontrato casualment­e Massimo Quello che mi piace di lui è il modo di prendere con seria leggerezza tutto quello che viene».

Ispirazion­e Con la moda combatto: mi dà lo spunto per altre discipline. Non metto limite allo sconfiname­nto Ritrosia Ho sempre tenuto nascosto il mio lavoro: me ne vergognavo finché non mi sono liberato

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Stoffe Le lampade vestite di sottovesti anni Cinquanta che l’artista ha trovato in America (Cavicchi - LaPresse)
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Voyeur A sinistra, la «stanza della poesia»: tappezzeri­e, tappeti e piccoli dipinti che si lasciano scrutare tra vecchie porte di vetro nell’ultima sala della galleria

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