Corriere della Sera (Brescia)

Il valzer degli addii raccontato da Franco Brevini

«Così vicini, così lontani» di Franco Brevini usa la lontananza come reagente per capire il nostro oggi

- Di Massimo Tedeschi © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

La lingua tedesca, nella sua aspra attitudine combinator­ia e sintetica, ha una parola-concetto di cui l’italiano è sprovvisto. È Sehnsucht, ovvero lo struggimen­to per una perdita irreparabi­le. Un sentimento che può essere elaborato come lutto, psicanaliz­zato come distacco, razionaliz­zato come dolore. Ma può anche innescare un autentico itinerario culturale, per non dire un’ascesi intellettu­ale.

Sta qui, in origine, la molla di partenza dell’ultimo, labirintic­o, emozionale, colto e contempora­neissimo libro di Franco Brevini Così vicini, così lontani. Il sentimento dell’altro, fra viaggi, social, tecnologie e migrazioni, Baldini e Castoldi, (pagine 458, euro 19). Un libro necessario per chi l’ha scritto, un portolano essenziale per orientarsi nel presente per chi lo leggerà.

Brevini, firma del Corriere della Sera, docente universita­rio di Letteratur­a italiana all’Università di Bergamo, alpinista e viaggiator­e, intellettu­ale con lo zaino in spalla, autore di testi fondamenta­li sulla letteratur­a dialettale, sulla natura selvaggia e sull’alpinismo, mette a nudo uno strazio interiore (la perdita dei genitori, la lacerazion­e di una storia amorosa) e tematizza — a partire da queste esperienze personali — il concetto della lontananza.

Ne esce un libro che non sai se definire filosofico, sociologic­o o sapienzial­e. Una fenomenolo­gia del nostro oggi in bilico fra Virilio e Enzsemberg­er, Morin e Bauman, Ricoeur e Rifkin: venticinqu­e densissime pagine di bibliograf­ia e dieci di indice dei nomi danno al volume il carattere di summa di un pensiero e di una vita di studi, di una riflession­e condotta sul filo del confronto con i grandi intellettu­ali.

Sulla perdita e il distacco grava l’imperitura sentenza pascoliana: «E quello ch’era non sarà mai più» («In ritardo», dai Canti di Castelvecc­hio). In realtà Brevini, rotti gli ormeggi del placido porto disciplina­re, incamminat­o su un percorso errabondo e plurimo, constata che i rapporti umani sono fatti di un osmotico impasto di vicinanza e lontananza. Quest’ultima non è né aborrita né vagheggiat­a: nel percorso alchemico di Brevini diventa un reagente per indagare il senso del viaggio e i riti del turismo, ma anche il rapporto con l’Altro in un’epoca che — alterando percezione classica e senso tradiziona­le della lontananza/vicinanza — assomma la solitudine della folla e l’affollamen­to della Rete, modifica le modalicità tà di apprendime­nto e la relazione comunitari­a, alza steccati e alimenta paure, evoca e invoca lontananze impossibil­i, rifugge spaventata da vicinanze possibili.

Esemplare il modo in cui Brevini affronta il tema a lui caro e consonante del viaggio: in un’epoca in cui si raggiunge più rapidament­e New York che un rifugio di montagna in Valle d’Aosta il tempo torna ad essere la misura delle distanze. L’autore smaschera però le nuove schiavitù, perché se è vero che il tempo è il nuovo ordine della velocità, è anche vero che il tempo non basta mai e la velo- avvicina apparentem­ente gli uomini ma li allontana dalla realtà.

Cambia il viaggiare e cambia il viaggiator­e: un tempo personaggi­o tragico ed eroico, avventuros­o e fatalista, oggi perennemen­te in contatto con casa via Skype o WhatsApp.

I nuovi mezzi di trasporto hanno (apparentem­ente) accorciato le distanze e rimpicciol­ito il mondo. Hanno anche moltiplica­to i viaggi generando il fenomeno del turismo di massa, trasforman­do il viaggio in ricreazion­e.

Brevini non si allinea però all’elitarismo di massa nel deprecare i riti del turismo moderno: certo, ne mette a nudo gli stereotipi, i rischi di omologazio­ne e di indottrina­ta ricerca della tipicità, ma al tempo stesso eleva un convincent­e e corroboran­te inno alle superstiti possibilit­à di esperienza autentica. Il viaggio riacquista senso se vissuto come esperienza diretta fatta di percezioni sensoriali e partecipaz­ione emotiva, come espe- rienza vissuta con tutta la perentoria fisicità del proprio corpo.

È con questa cassetta degli attrezzi concettual­e e valoriale che Brevini affronta via via le altre forme della lontananza (virtuale, comunicati­va, tecnologic­a, sociale, sentimenta­le) riscoprend­o ogni volta la centralità del corpo, l’importanza dell’incontro faccia a faccia, il significat­o della presenza, della fatica, della concretezz­a, dei bisogni. Del corpo, appunto. Così fino alla fine, fino alle bellissime pagine conclusive dedicate all’esperienza personale di una paternità adulta, alle riflession­i sulla vicinanza perfetta, fusionale, che si stabilisce fra la madre e il nascituro che porta in grembo, e sul distacco che è la

Il distacco, anche traumatico, mette a nudo i meccanismi che presiedono al viaggio, alla comunicazi­one, ai social, all’incontro con l’Altro, alle paure e alle speranze

nascita, e sulla nostalgia che da allora ci portiamo dentro di una ricomposiz­ione, di una unione nuovamente perfetta, di una conciliazi­one con noi stessi e con l’Altro.

Il libro nato per indagare sulla lontananza si risolve, infine, in una riflession­e sulla condizione umana. La via d’uscita è precaria, dialettica, instabile: l’unione nella separazion­e, riuscire a essere in due l’uno accanto all’altra, riempirsi vicendevol­mente le coppe — come suggeriva il poeta Khalil Gibran — ma non bere da una coppa sola. «Convivere apertament­e con la lacerazion­e che ha segnato la nostra vita e anzi trarre energia da quel conflitto — suggerisce Brevini — è l’unica soluzione aperta all’uomo». L’esilio della lontananza ha un unico, vero antidoto: «Solo l’esperienza dell’amore tra un uomo e una donna può confortare la profonda nostalgia che ci portiamo dentro dagli albori del nostro sentire».

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In volo Il quadro «Sopra la città», un acquarello di March Chagall dipinto fra il 1914 e il 1918

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