Lavoro, le donne guadagnano il 22% in meno
Ancora poche nei consigli di amministrazione: vince Ubi
Per gli imprenditori bresciani, le donne valgono meno. Il Sole 24Ore, posizionando la Leonessa 80esima su 110 province per «gender salary gap» valuta la differenza di retribuzione nella misura del 22%. Stimando un salario medio lordo annuo di 30 mila euro, le donne si devono accontentare di 4 mila euro in meno.
Per gli imprenditori bresciani, le donne valgono meno e hanno competenze inferiori agli uomini. Il Sole 24Ore, posizionando la Leonessa 80esima su 110 province per «gender salary gap» (uno degli indicatori dell’annuale classifica sulla Qualità della vita, nella quale Brescia figura 46esima tenendo conto di tutti i parametri), valuta la differenza di retribuzione nella misura del 22%.
In soldoni, stimando un salario medio lordo annuo per impiegato di 30 mila euro, le donne si devono accontentare di 4 mila euro in meno. La «colpa» va divisa a metà: gli imprenditori, soprattutto quelli piccoli, non hanno ancora fatto il salto culturale, il gentil sesso alza ancora poco la voce. «È come se tutto questo fosse ormai assodato: il gender salary gap è un problema in Italia e soprattutto tra gli imprenditori bresciani, poco predisposti a puntare sulle donne. In questo meccanismo, molte non comprendono che dovrebbero avere gli stessi diritti e le stesse opportunità dei loro colleghi uomini». A parlare è Alessandra Damiani, segretario provinciale di FimCisl, Federazione sindacale di categoria dei metalmeccanici. «Una parte del gap è dovuta al fatto che le donne sono meno predisposte dei colleghi maschi a fare straordinari per vincoli di famiglia, quindi la busta paga risulta mediamente minore. Per il resto la manodopera femminile viene spesso utilizzata in impieghi medio-bassi e, quando c’è parità di impiego con gli uomini, il riconoscimento economico è, di frequente, minore». Insomma, le donne fanno meno carriera e, quando ci riescono, guadagnano meno.
Nelle grandi aziende, conferma Damiani, il gender salary gap è più basso (e gli stipendi più alti): secondo l’indagine retributiva del centro studi dell’Aib, gli operai delle aziende iscritte guadagnano in media 29.400 euro lordi e il gap tra dipendenti uomini e donne è del 10%, gli impiegati hanno stipendi lordi di 39.700 euro e il gap è del 12,6%. Per i quadri, 62.500 euro lordi, il gap retributivo si riduce al 3,9% ma sale addirittura al 16% per quanto riguarda i dirigenti, 135.200 euro lordi. E solo il 14% dei dirigenti delle aziende di Aib sono donne. «Nelle piccole aziende va solitamente peggio, comunque provate a dare un’occhiata agli organigrammi delle associazioni e pure dei sindacati stessi. Ma le competenze le hanno solo gli uomini?», la provocazione di Damiani, che definisce la FimCisl «un’anomalia, un caso raro». Ha ragione: donne al potere, pochissime. Nella segreteria bresciana della Cisl, solo un componente su tre è donna, in Cgil gli uomini sono tre per 5 poltrone, nella Uil c’è una donna tra i 6 vertici.
Non che vada tanto meglio nei punti di riferimento per le imprese. La giunta esecutiva di Confartigianato è formata da 11 persone: zero donne. Nella giunta esecutiva di Apindustria si trovano 2 donne su un totale di 6 cariche. In Aib, nel consiglio di presidenza, le quote rosa salgono un poco: 4 donne su 14 componenti. Anche in Camera di Commercio finisce 5 a 2 per i maschi, in A2A, 8 a 4, allo Zooprolitattico, 4 a 1. Per trovare una donna presidente bisogna andare nel consiglio di amministrazione di Ubi: Letizia Moratti guida un team formato da sette persone, 3 donne e 4 uomini. E le banche locali? Zero donne nel cda di Valsabbina, una donna in quelli di Btl e Cassa Padana, tre su 11 in quello di Bcc Garda.
Nelle grandi aziende il divario è meno marcato, soprattutto per i «quadri» In Cdc su 5 uomini solo 2 donne, in A2A, 8 a 4 e allo Zooprofilattico quattro a uno