Giallo Garda
«L’ultimo record» di Massimo Tedeschi: un intrigo negli anni ‘30 attorno agli idrovolanti da corsa
Roaring Thirties, ruggenti anni ’30, di prorompente e ingannevole vitalità tra ideologie muscolari, grandi imprese e combustioni ormonali, con un mondo ancora una volta in bilico sopra la follia, perché l’esperienza non conta mai niente: una guerra ha lasciato le sue scorie tossiche e un’altra s’intravede all’orizzonte. Dopo Carta Rossa, Massimo Tedeschi riporta lo sguardo a quel decennio, un periodo di mezzo e di incubazione, e ritrova il suo protagonista, il commissario Italo Sartori, poliziotto abruzzese che ha il fiuto del bracco e il baffo maliardo come un tirabaci. Nelle pagine de L’ultimo record (De Ferrari, pp. 102, euro 9,90), secondo cimento nel racconto,lo scenario rimane il Basso Garda, mentre l’anno domini è il 1934, in cui Achille Varzi, sublime rivale di Nuvolari, vinse la Mille Miglia.
Un paletto cronologico questo, che connota il contesto e non fa solo da tappezzeria. I motori, con i loro rombi e i loro grassi, esprimono lo spirito di quel tempo improntato alla velocità e all’audacia. Il golfo di Salò è una sinfonia assordante di gare di motociclette, motoscafi. Poco lontano ci sono gli idrovolanti. Gli idrovolanti del Rav (Reparto di Alta velocità) di Desenzano, una delle pagine più emozionanti della Regia Aeronautica militare italiana. Storia vera, carica di onori patriottici ma anche di onoranze funebri. Una scuola d’élite per velocisti in quota, una Top gun d’antan, che diede peraltro lustro e prestigio al regime fascista, di sua natura vanesio. Appena l’anno prima il velivolo Macchi Mc.72, orgoglio di una nazione, un bolide rosso dalle linee accattivanti con a bordo il maresciallo Agello, aveva stabilito il nuovo record detenuto dagli inglesi, effettuando cinque giri del lago ad una velocità media calcolata in 682,078 Km/h. Ma erano passati alcuni mesi e quel primato non era stato ritoccato, Mussolini richiedeva nuovi allori pronta consegna. È in questo frangente che il commissario Sartori viene sollecitato in una indagine non ufficiale. Qualcuno manomette i carburatori degli idrocorsa (idrovolanti da corsa), denuncia il comandante del Reparto, il colonnello Bernasconi, ma le testimonianze delle persone informate dei fatti sono diverse. Chi non crede al sabotaggio, chi sospetta interferenze straniere, chi pensa all’azione di qualche principiante e chi allude a gelosie e rancori interni al Reparto stesso.
Professionale nel servizio, e senza flettere la schiena al vento che tira (un giorno forse Tedeschi dirà da che parte è andato Sartori dopo l’8 settembre) il nostro commissario procede nella sua inchiesta. In quegli anni il Garda è ombelico internazionale e lui incrocia damazze che coniugano jet set e sani appetiti sessuali: la giornalista francese che non disdegna le prestazioni fuori carlinga dei giovani piloti e decanta D’An- nunzio, performer d’alcova; l’aviatrice inglese, una amazzone fulva decisamente curvy, senza dimenticare il console onorario tedesco che, insofferente alla Repubblica di Weimar, era corso in braccio a Hitler. Sartori coglie la verità e la verità si rivela da sola in un finale che racconta un’altra storia dentro la storia, operando uno scarto, forse uno squarcio: quella di un meccanico indocile che era nato a Fratta Polesine, lo stesso paese di Giacomo Matteotti, una delle vittime dei sicari fascisti. Il caso si chiude e mentre il radiogiornale annuncia l’ultimo record aviatorio, Sartori si appresta ad immergersi nei teneri e tiepidi abissi con Anna, vedova allegra e sotto il vestito niente, mammifera di lusso alla Pitigrilli. L’amore è una guerra per pacifisti e l’amore è pur sempre uno sfregio alla retorica dello sport travestito da politica.
È un giallo slow e senza delitti, una gouache d’epoca, una docu-fiction con fondamenta filologiche e la civetteria del piacere del testo, scritto con garbo e ironia, da leggersi in un sorso solo.