Sparito in viaggio Il «mistero» del check in
E nell’ultima chiamata avrebbe detto: «Sono in carcere»
Avrebbe dovuto rientrare con un volo da Istambul il 10 ottobre di un anno fa. Ma Alessandro Sandrini dopo aver fatto il check in non si è mai imbarcato. «Sono in carcere» ha detto. Ma non risulta detenuto in Turchia.
Gli investigatori vagliano svariate piste. Almeno fino a quando i riscontri non diventeranno certezze. E i dubbi sulla sorte di Alessandro Sandrini non si sgretoleranno fino a ricomporre il puzzle della sua vita negli ultimi quattordici mesi. Partito da Folzano per un viaggio in Turchia di una settimana organizzato (da solo) in agenzia di viaggio il 10 ottobre del 2016, non è più tornato. E ha chiamato per la prima volta la mamma il 19 ottobre scorso.
Ma c’è un dettaglio emerso di recente. E cioè che il 10 ottobre di un anno fa, data fissata per il rientro in Italia, risulta che Alessandro fece il check in a Instanbul. Ma non si imbarcò mai sull’aereo che l’avrebbe riportato a Orio al Serio (come peraltro aveva confermato il giorno prima all’ex compagna chiedendole di andarlo a prendere in aeroporto). Perché? Qualcuno l’ha obbligato in qualche modo a restare? È stato «fermato» dopo essersi cacciato in qualche guaio, come qualche amico ipotizza alla luce del suo passato turbolento e «vizioso»? Certo è che «Alessandro Sandrini non risulta detenuto in alcun carcere turco» hanno fatto sapere i canali ufficiali alla procura che del caso si sta occupando insieme alla squadra Mobile della questura. Ma c’è un’altra cosa. Perché nella sua ultima chiamata a casa, che risale a domenica scorsa, 3 dicembre, Alessandro, alla madre Evelina, avrebbe detto chiaramente: «Sono in carcere». Ma «non so di preciso dove mi trovo» aveva già accennato nella precedente telefonata di ottobre. Quindi potrebbe essere stato comunque trattenuto, in una sorta di cella, non dallo Stato ma da un gruppo paramilitare, per esempio. Va da sé che chiunque gli permetta di telefonare, quantomeno, deve capire l’italiano e le parole che questo ragazzo pronuncia: fatto salvo che entrambe le volte non sia riuscito in qualche modo a impossessarsi di un telefonino e utilizzarlo di nascosto per alcuni minuti («parlo io, non c’è tempo, tu ascoltami» precisò alla mamma l’ultima volta).
Non solo. All’ambasciata turca di Ankara, Alessandro Sandrini risulterebbe «monitorato minuto per minuto». Quindi saprebbero dove si trova. Le telefonate — fatte con due numeri internazionali diversi tra loro riconducibili a schede anonime usa e getta — arriverebbero dalla zona di confine con la Siria, vicino ad Adana. Ma il «positioning» per tracciare in modo inequivocabile le coordinate sono ancora in corso: gli inquirenti ci stanno lavorando, si tratta di accertamenti che richiedono più tempo proprio perché si tratta di utenze estere. In questa fase, dunque, non è ancora sicuro del tutto che Alessandro Sandrini si trovi davvero tra la Siria e la Turchia.
Dall’analisi del suo computer — che risale logicamente al periodo a ridosso della sua scomparsa — non risulterebbero contatti o appuntamenti fissati oltreconfine, ma i contatti avrebbe potuto trovarli in loco. O viceversa. Così come gli inquirenti escluderebbero in modo assoluto eventuali percorsi di radicalizzazione islamica. Sandrini, «terrorizzato», avrebbe detto alla madre di avvisare l’ambasciata proprio perché coloro i quali lo tengono «prigioniero» pretenderebbero soldi non tanto dalla famiglia ma dallo Stato italiano. La Farnesina è informata del caso da tempo. Potrebbe essere finito in un giro più grande di lui, aver fatto uno sgarbo alla persona sbagliata o essere il pretesto per chissà quale scambio. Il puzzle deve ancora prendere forma.
La chiamata di Sandrini Sono prigioniero in carcere. Questi non scherzano, vogliono soldi non da noi ma dallo Stato Fate in fretta non c’è tempo da perdere Localizzazione Il «positioning» delle chiamate è in corso ma sarebbe «monitorato» minuto per minuto