Il chirurgo indagato lascia Via dal Civile
Claudio Muneretto, il primario della cardio chirurgia universitaria del Civile indagato per omicidio volontario dopo la morte di una paziente ha rinunciato alla convenzione: non opererà più nell’ospedale cittadino.
Dal primo dicembre il primario della cardiochirurgia universitaria, Claudio Muneretto, non lavora più per gli Spedali Civili. Nessun tipo di attività assistenziale per lui all’interno del nosocomio cittadino dopo l’accusa di omicidio volontario mossagli il mese scorso dalla Procura di Brescia. Una decisione presa dallo stesso primario e confermata da Ezio Belleri, direttore dell’Asst. «Il professor Muneretto ha comunicato all’azienda di voler sospendere il rapporto convenzionale relativo all’effettuazione dell’attività assistenziale. L’azienda ne ha preso atto e pertanto dal primo dicembre il professor Muneretto non effettua alcuna attività assistenziale in ospedale». Almeno per il momento quindi il cardiochirurgo universitario non entrerà più in sala operatoria agli Spedali Civili e le sue funzioni sono state affidate al dottor Alberto Repossini. Per Muneretto, 60 anni nato a Roma ma residente nel Mantovano, le accuse sono pesantissime. Il sostituto procuratore Ambrogio Cassiani ha parlato infatti di omicidio volontario aggravato da premeditazione e futili motivi nonché falso ideologico per la manomissione della cartella clinica di una paziente. Il fatto contestato riguarda la morte della 57enne di Legnago, Angiola Maestrello, entrata in sala operatoria a Brescia per un’operazione di routine (difetto del setto interatriale) e morta 5 giorni dopo a Padova. L’8 febbraio 2016 mentre la donna è sotto i ferri la situazione precipita. Viene allora attaccata all’apparecchiatura per la circolazione extracorporea ma senza miglioramenti. Il primario, secondo l’accusa, decide così di staccare la donna dalla macchina e trasferirla al Centro Trapianti di Padova. Per il pm Cassiani il cardiochirugo avrebbe fatto questa scelta non per tutelare la vita della paziente ma solo per un calcolo personale. Secondo l’accusa: per non correre il rischio di fare morire la donna presso il proprio reparto, con conseguente perdita di credibilità e di pazienti futuri. Inoltre, per non fare brutta figura nel trasferirla al Centro Trapianti di Padova senza prima aver tentato di staccare la paziente dalla macchina salvavita, avrebbe tentato di svezzarla «ignorando volutamente - scrive il pubblico ministero Cassiani nell’avviso di chiusura indagni tutte le evidenze cliniche che rendevano la procedura in questione impraticabile».