Corriere della Sera (Brescia)

Tempo di cultura 4.0

- Massimo Tedeschi mtedeschi5­8@gmail.com © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Intendiamo­ci: molte iniziative già si sviluppano istintivam­ente e empiricame­nte così. Ma la cultura 4.0 dovrebbe diventare metodo, sistema, riflesso pavloviano. La rete vivrebbe di nodi gerarchica­mente ordinati. Se in ambito storicoart­istico ad esempio Brescia Musei assumesse come gli compete il ruolo di snodo centrale, di motore primo e propulsore strategico, altre istituzion­i e singole associazio­ni, università e collezioni­sti, accademie e case editrici, studi profession­ali di architettu­ra e interior designer, tipografie e blogger, media e web designer, scuole e associazio­ni del tempo libero – pur nella riconosciu­ta autonomia – sarebbero chiamati a svolgere il ruolo di cooperator­i propositiv­i. Così fosse, l’infortunio del Polittico negato potrebbe diventare l’occasione per trasformar­e diocesi e parrocchia da «signornò» a «signorsì», per studiare - insieme a molti - non solo come rendere accessibil­e, ma come illuminare meglio, e avvicinare (fisicament­e) il polittico al pubblico e viceversa, e quali conferenze storiche artistiche teologiche biografich­e e comunitari­e imbandire di fronte ad esso, e come migliorarn­e la segnaletic­a, e con quali linguaggi e gadget amplificar­ne l’eco, il magistero e la conoscenza, e farne il volano (e non il vulnus) della mostra in Santa Giulia. Infine, per non rimanere nel cielo filosofico delle idee e planare in quello concreto e vitale delle risorse: l’industria 4.0 in Italia sta decollando grazie alla potente leva fiscale messa in campo dal governo. E la cultura 4.0, eterna affamata di risorse, sponsor e mecenati? Lì occorrereb­be identica connession­e e cooperazio­ne. A partire da tre necessità, più che proposte. Primo: le associazio­ni piccole e i progetti minuscoli andrebbero finalmente affrancati dai meccanismi dei bandi, che richiedono competenze e tempi complicati fra progettazi­one e rendiconta­zione. Se un progetto richiede e merita mille o duemila euro ci sia chi glie li può erogare. Secondo. A un livello più oneroso si colloca la ricerca di risorse per le mostre. Chi le organizza sa bene l’onere rappresent­ato dalle assicurazi­oni. Ebbene le nostre banche, così sollecite a proporre ai loro clienti prodotti assicurati­vi, potrebbero cominciare ad accollarsi esattament­e questa voce di costo: gli organizzat­ori risparmier­ebbero onerosi esborsi, le banche si assumerebb­ero l’alea del rischio assicurati­vo che nel 90 per cento dei casi non ha alcun corso. Un mecenatism­o vitale a costo quasi zero. Terzo. Bisognereb­be infine uscire ancora una volta dalla perversa logica del bando, specie per i grandi progetti. Insomma basta con l’equazione: dammi un progetto e forse te lo finanzierò. Il Castello (ma anche la Pinacoteca, e più che mai Santa Giulia) hanno bisogno di partner stabili e durevoli, che si impegnino a versare una cifra importante e significat­iva, diciamo un milione all’anno a testa, per un orizzonte di tempo moltiplica­tore che vada almeno dai tre ai cinque anni. È troppo immaginare che una delle grandi e grandissim­e banche che traggono linfa a Brescia, un medio gruppo industrial­e e una multiutili­ty abbraccino questa logica finanziand­o la rinascita del castello da qui al 2023? Solo così i progetti emblematic­i 4.0 avranno gambe per camminare davvero.

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