Tempo di cultura 4.0
Intendiamoci: molte iniziative già si sviluppano istintivamente e empiricamente così. Ma la cultura 4.0 dovrebbe diventare metodo, sistema, riflesso pavloviano. La rete vivrebbe di nodi gerarchicamente ordinati. Se in ambito storicoartistico ad esempio Brescia Musei assumesse come gli compete il ruolo di snodo centrale, di motore primo e propulsore strategico, altre istituzioni e singole associazioni, università e collezionisti, accademie e case editrici, studi professionali di architettura e interior designer, tipografie e blogger, media e web designer, scuole e associazioni del tempo libero – pur nella riconosciuta autonomia – sarebbero chiamati a svolgere il ruolo di cooperatori propositivi. Così fosse, l’infortunio del Polittico negato potrebbe diventare l’occasione per trasformare diocesi e parrocchia da «signornò» a «signorsì», per studiare - insieme a molti - non solo come rendere accessibile, ma come illuminare meglio, e avvicinare (fisicamente) il polittico al pubblico e viceversa, e quali conferenze storiche artistiche teologiche biografiche e comunitarie imbandire di fronte ad esso, e come migliorarne la segnaletica, e con quali linguaggi e gadget amplificarne l’eco, il magistero e la conoscenza, e farne il volano (e non il vulnus) della mostra in Santa Giulia. Infine, per non rimanere nel cielo filosofico delle idee e planare in quello concreto e vitale delle risorse: l’industria 4.0 in Italia sta decollando grazie alla potente leva fiscale messa in campo dal governo. E la cultura 4.0, eterna affamata di risorse, sponsor e mecenati? Lì occorrerebbe identica connessione e cooperazione. A partire da tre necessità, più che proposte. Primo: le associazioni piccole e i progetti minuscoli andrebbero finalmente affrancati dai meccanismi dei bandi, che richiedono competenze e tempi complicati fra progettazione e rendicontazione. Se un progetto richiede e merita mille o duemila euro ci sia chi glie li può erogare. Secondo. A un livello più oneroso si colloca la ricerca di risorse per le mostre. Chi le organizza sa bene l’onere rappresentato dalle assicurazioni. Ebbene le nostre banche, così sollecite a proporre ai loro clienti prodotti assicurativi, potrebbero cominciare ad accollarsi esattamente questa voce di costo: gli organizzatori risparmierebbero onerosi esborsi, le banche si assumerebbero l’alea del rischio assicurativo che nel 90 per cento dei casi non ha alcun corso. Un mecenatismo vitale a costo quasi zero. Terzo. Bisognerebbe infine uscire ancora una volta dalla perversa logica del bando, specie per i grandi progetti. Insomma basta con l’equazione: dammi un progetto e forse te lo finanzierò. Il Castello (ma anche la Pinacoteca, e più che mai Santa Giulia) hanno bisogno di partner stabili e durevoli, che si impegnino a versare una cifra importante e significativa, diciamo un milione all’anno a testa, per un orizzonte di tempo moltiplicatore che vada almeno dai tre ai cinque anni. È troppo immaginare che una delle grandi e grandissime banche che traggono linfa a Brescia, un medio gruppo industriale e una multiutility abbraccino questa logica finanziando la rinascita del castello da qui al 2023? Solo così i progetti emblematici 4.0 avranno gambe per camminare davvero.