Fine vita, i dubbi di Poliambulanza e l’idea dell’obiezione di struttura
Il testamento biologico è diventato legge dello Stato, ma il dibattito sul fine vita continua. Perché, se è vero che le strutture pubbliche si atterranno alle indicazioni della normativa nazionale, gli ospedali religiosi potrebbero non aderire su tutti i punti. Soprattutto su quello controverso dell’idratazione e della nutrizione, concepite ora come trattamenti e, come tali, rifiutabili da parte del paziente. «Si tratta di un dilemma non del tutto risolto all’interno del mondo cattolico, su cui c’è ancora dibattito» è la premessa di Alessandro Signorini, direttore generale di Poliambulanza. Il quale però non esclude che si possa arrivare ad «un’obiezione di struttura» di fronte alla volontà testamentaria del paziente di sospendere idratazione e nutrizione. L’invito è a fare comunque dei distinguo: le perplessità del mondo cattolico sono su alcuni punti specifici («compresa la figura del fiduciario») e non sulla legge in toto. E mentre si attende di vedere nei dettagli il testo approvata dal Senato, Signorini chiarisce che la posizione di Poliambulanza «è quella espressa da Virginio Bebber, presidente dell’Aris», l’associazione degli ospedali religiosi. Il quale, pochi giorni fa, ha rilasciato un’intervista ad Avvenire dichiarando che non è possibile «condividere il fatto che nutrizione e idratazione siano di fatto totalmente ascritte alla determinazione del paziente e rese indisponibili alla responsabilità del medico che è chiamato in tempo reale a valutare il concreto sviluppo di una condizione clinica che nessuna dichiarazione anticipata è in grado di presumere in tutti i suoi profili». Se ci saranno spazi per l’obiezione di coscienza, è quindi facile che le cliniche di ispirazione religiosa la applicheranno. Forse come obiezione di struttura. Opzione di certo non praticata dagli ospedali pubblici, che recepiranno le Dichiarazioni anticipate di trattamento (Dati) come da norma. «Una legge, giusta o sbagliata che sia, è sempre legge – spiega Ezio Belleri direttore generale degli Spedali Civili – E noi, che svolgiamo una funzione pubblica, siamo tenuti ad applicarla». Il direttore sa che quello del fine vita è un tema complesso, dove i confini tra cura e accanimento terapeutico a volte sono labili. «Prima i margini di discrezionalità erano più ampi, ora le certezze giuridiche aumentano. E questo – osserva Belleri – potrebbe anche ridurre potenziali contenziosi» che sono «comunque minoritari». Basti pensare al problema delle trasfusioni nei testimoni di Geova: se il paziente le rifiuta e poi muore, il medico rischia di trovarsi un’accusa di omicidio. Se al contrario il dottore trasfonde la persona per poterlo salvare, questo non evita che possa arrivargli un avviso di garanzia per lesioni. C’è quindi una complessità strutturale di base. E la legge sul testamento biologico potrebbe fornire più certezze e anche maggiori tutele. Per tutti, medici e pazienti. (m.tr.)