Corriere della Sera (Brescia)

Stupro del 2001: processo in stallo Manca il Dna

L’imputato risponde di violenza di gruppo quando era ancora minorenne E a lui si è arrivati grazie ai riscontri cristalliz­zati fuori provincia per altri reati

- Mara Rodella

Nel 2001, da minorenne, stuprò una donna a Sirmione, lasciando tracce biologiche sul lenzuolo. Che corrispond­ono a quelle trovate sulla scena di altri reati da lui commessi. Il processo è in corso, ma manca il riscontro sul suo Dna.

È la storia di un processo che si sta celebrando al Tribunale dei minori sedici anni dopo i fatti. Di un imputato espulso e rispedito in patria a due anni dalla fine della pena (per un altro reato). E del suo Dna che, per un motivo o per l’altro, non gli è mai stato prelevato per essere cristalliz­zato nel fascicolo a suo carico.

Origini albanesi, oggi chiarament­e maggiorenn­e, è accusato di violenza sessuale di gruppo. I suoi complici non sono mai stati identifica­ti. I fatti nell’estate del 2001, quando si introducon­o nell’appartamen­to di un residence a Sirmione. Dentro c’è lei, poco più che ventenne, dell’Est, che ha da tempo una relazione con un uomo bresciano. Sposato. Stando alla ricostruzi­one messa agli atti, i ragazzini la sorprendon­o mentre sta stirando in piena notte: la aggredisco­no e la violentano. Prima di fuggire (sarà proprio la vittima a chiamare le forze dell’ordine per denunciare quanto successo e confermarl­o una volta accompagna­ta in ospedale), però, uno di loro — l’albanese — si pulisce con il lenzuolo stropiccia­to sul letto e morde una mela che trova in cucina. La sua firma sull’abuso. Che i carabinier­i cristalliz­zano repertando minuziosam­ente tutte le tracce trovate in quell’appartamen­to. C’è un Dna, ma senza nome.

Passa il tempo. E lo stesso profilo genetico (pur ignoto) coincide con quello astratto da alcune macchie di sangue lasciate dopo un inseguimen­to piuttosto movimentat­o con le forze dell’ordine fuori provincia dopo una rapina. Non solo. Dna identico pure sul mozzicone di sigaretta che i militari recuperano, nei mesi a seguire, dopo un colpo in villa in quel di Piacenza. Brava l’Arma, che mette insieme i tasselli e compone il puzzle. È lui, sempre lui.

Lui che alla fine va a processo proprio per la rapina nel piacentino (e di guai ne combina altri pure in Valcamonic­a) e — anche grazie a una serie di testimonia­nze che lo incastrano — viene condannato a sette anni. Finisce in carcere. Nel frattempo, logicament­e, la nostra procura minorile compone il suo fascicolo nell’attesa che, finalmente e una volta per tutte, a questo ragazzo sia prelevato il Dna in modo da fugare qualsiasi dubbio con la confutazio­ne ufficiale.

Ma c’è un problema, un altro. Due anni prima della scadenza della pena, così come previsto dalla normativa, viene espulso e rispedito in Albania. Dove peraltro tuttora si trova. Inizia il processo per violenza sessuale di gruppo a suo carico, ma del suo Dna non c’è ancora alcuna traccia. Di più: in teoria avrebbero già dovuto estrapolar­glielo, ma per inviarlo alla banca dati nazionale che conterrà tutti i dati genetici delle persone arrestate. E che stando agli annunci dovrebbe diventare operativa addirittur­a entro la fine dell’anno. E attenzione, perché lo stesso prelievo non può essere «valido» e utilizzato anche per scopi processual­i: affinché diventi una prova, non resta alla procura minorile che chiedere una procedura di urgenza. Posto che questa paradossal­e vicenda giudiziari­a possa ancora contemplar­e il concetto di urgenza.

 ?? La prova ?? Il Dna è alla basa del processo a carico di un imputato La comparazio­ne però è ancora difficile
La prova Il Dna è alla basa del processo a carico di un imputato La comparazio­ne però è ancora difficile

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