Addio a Marchesi La Franciacorta piange il maestro
I ricordi di 20 anni di alta cucina in Franciacorta l’Albereta come laboratorio. Anche del territorio
Per chi frequentava la Franciacorta e amava l’Albereta, in fondo – diciamolo con un pizzico di cinismo – Gualtiero Marchesi se n’era andato il 31 dicembre 2013: l’Ultima Cena nel ristorante interno del resort di Erbusco, a suggellare la fine di un ventennio straordinario. Un divorzio annunciato da mesi e forse nel cuore da anni, quello con Vittorio Moretti, gran signore di Franciacorta: il patron che lo accolse nel 1993 quando – in piena crisi economica e Tangentopoli alle porte – Marchesi si rese conto che il locale dove aveva creato la Nuova Cucina Italiana non aveva più senso. «Ero a Milano con il mio grande amico Gianni Brera per il premio Bellavista, a cena da Gualtiero che lo stimava molto – racconta Moretti - gli chiesi di indicarmi un suo allievo che in due anni fosse in grado di prendere una stella Michelin in Albereta. Mi rispose, con un sorriso sornio- ne: “Se vuole, vengo io che ne ho tre”. Stava chiudendo in via Bonvesin de la Riva: accadde tutto in quindici giorni. È rimasto da noi per vent’anni. Mi sento di dire una sola cosa: Marchesi ha portato la grande ristorazione in Franciacorta: prima c’era solo il manzo all’olio di Rovato». Davvero incredibile la presenza del divin Gualtiero a Erbusco, basata sul rapporto tra due lombardi doc, diversissimi (uno di città, uno di campagna) e di forte personalità, quest’ultima fonte di momenti ottimi e momenti pessimi. Nei due entourage, al momento della separazione, c’era anche la consapevolezza che il matrimonio era durato tanto, considerando non solo la parte meramente economica ma anche le visioni sul tema specifico: Moretti
Moretti Ha portato da noi la grande ristorazione Prima c’era solo il manzo all’olio
da sempre non ama la cucina creativa e Marchesi ripeteva a giorni alterni che per certi menu non aveva senso bere del vino. La rinuncia clamorosa nel 2008 al giudizio della Michelin, il calo di coperti delle ultime stagioni e l’apertura del Marchesino – sintomo della voglia di tornare a Milano – furono i segnali di un progressivo logoramento del rapporto. Sempre di gran classe, ma chiaramente al tramonto. Il periodo in Albereta è stato invece sempre luminoso per l’uomo, affascinante sempre nonché Maestro nel vero senso della parola: nella cucina di Erbusco sono passati – già maturi – gli allievi del periodo milanese. Praticamente tre quarti dei grandi cuochi italiani di oggi: Andrea Berton, Enrico Crippa, Paolo Lopriore, Carlo Cracco e ci perdonino quelli che non ricordiamo. Ma anche un giovanissimo Riccardo Camanini («Il maestro che ha saputo indirizzare il mio percorso professionale e di vita» ricorda lo chef del Lido 84) e decine di futuri buoni professionisti, sconosciuti ai più. Un vero peccato che la raccolta di firme per farlo senatore a vi- ta non sia servita a nulla, ma nel 1993 probabilmente al Quirinale manco capivano la grandezza dello chef milanese. Ci pensò Vittorio Fusari – suo allievo per qualche mese insieme a un gruppo di bravi colleghi della zona (Philippe Léveillé, Stefano Cerveni, Maurizio Rossi, Michele Valotti e Giovanni Cavalleri) in una bellissima cena d’addio, pochi giorni prima il ritorno sotto la Madonnina. Vedemmo Gualtiero commosso, meno battutista del solito, perché non era una celebrazione in pompa magna ma un mare di affetto. Con il «Mauri» dell’Osteria della Villetta, dove Marchesi di tanto in tanto andava a mangiare due piattini, che diceva «Se apre un nuovo ristorante, mollo tutto e vado a fargli la sala perché non esiste uno più grande di Gualtiero». Ed era serissimo. In un momento così, tra mille aneddoti e altrettanti aforismi (lui ne era fissato), viene da sorridere pensando che pochi mesi fa - finalmente - Marchesi era riuscito a coronare il sogno di una vita: costruire una casa di riposo per cuochi, a Varese, curata dalla Fondazione che porta il suo nome. Non poteva entrarci, Gualtiero non ha mai concepito il concetto di riposo. «Stava riscrivendo tutte le sue ricette più famose e innovative - ha raccontato il genero Enrico Dandolo, che seguiva più da vicino il suo lavoro - l’ultimo libro pubblicato era un libro di sole foto, quelle dei suoi piatti». E la presentazione di quel libro in Feltrinelli fu per Marchesi, l’ultima occasione per tornare a Brescia.