Feste, l’Outlet aperto I clienti non disertano
Viaggio nei negozi a S. Stefano
Una ventina di minuti dopo l’apertura dei negozi il parcheggio è già pieno. Siamo al Franciacorta Outlet Village e per il giorno di Santo Stefano tutti i negozi sono aperti: i clienti apprezzano. Nonostante qualcuno si dica dispiaciuto per i commessi, che quindi non possono passare il 26 dicembre in famiglia, il fatto è che se i negozi sono aperti le persone ne approfittano. Per noia, perché la maggior parte della clientela non lavora, perché ci sono alcuni regali da cambiare. I dipendenti sospirano: proteste e volantinaggi per tenere chiuso non hanno sortito gli effetti desiderati. È la legge di mercato: tutti i centri commerciali hanno alzato le saracinesche.
Le persone vanno al centro commerciale anche a Santo Stefano, perché le saracinesche sono tutte alzate. «So di sbagliare e mi dispiace per i dipendenti ma i negozi sono aperti e ne approfitto», dicono bresciani, bergamaschi, milanesi, cremonesi, abruzzesi, persino cinesi: tutti con una borsina in mano . Alle 10.23, con i negozi operativi da soli 23 minuti e una pioggia che non invoglia certo ad alzarsi dal divano di casa, il parcheggio del Franciacorta Outlet Village è già pieno.
L’apertura del 26 dicembre, contestatissima dai sindacati con un volantinaggio (che non ha sortito effetti) è un successo: non ci sono grandi code come all’avvio dei saldi e parecchi sono qui per cambiare regali sbagliati, ma le shopper abbondano e il flusso è quello di una domenica qualsiasi. «I centri commerciali dovrebbero essere chiusi perché i commessi hanno diritto a stare con le loro famiglie», dice Antonio Masi, di Villa Carcina. E allora perché è qui? «Perché è aperto». Se l’Outlet fosse stato chiuso, magari sarebbe andato a Elnòs, al Leone, a Orio Center, alla Freccia Rossa o in qualsiasi altro centro commerciale in zona, visto che per Santo Stefano sono quasi tutti operativi. La semplicità delle risposte fa capire che, senza una legge in materia, le aperture durante le festività sono destinate a moltiplicarsi. Resta un ultimo «tabù», quello del 25 dicembre.
«Se l’Outlet fosse stato chiuso sarei stato a casa o avrei fatto altro», conferma Damiano, di Carate Brianza. Poteva venire un altro giorno ascoltando le preghiere dei sindacati? «Certo, ma oggi non lavoro, non ho programmi e qui fanno già gli sconti. Mi spiace per i commessi, ma io sono un consumatore e faccio i miei interessi». Più o meno la stessa risposta di una famiglia di Chieti approdata in Lombardia per una visita al figlio, della coppia di Villongo all’Outlet «per noia», dei fidanzati di Brescia città che «ci sentiamo un po’ in colpa ma non avevamo niente da fare», dei bergamaschi di Fontanella che si scagliano contro le aperture nei festività ma «siamo clienti affezionati e a Santo Stefano non eravamo mai stati qui: è bello e così trascorriamo una giornata diversa dagli altri 26 dicembre». Cristiano e Anita, marito e moglie di casa a Cremona, sono arrivati a Rodengo con il fidato amico a quattro zampe. «Siamo qui perché l’Iper di Gadesco è chiusa, ci dispiace per i commessi e pure per voi giornalisti. Lavorare a Santo Stefano è sbagliato, non vi invidio...». Gentilissimi, una stretta di mano ed entrano, abbracciati, nel negozio di Venchi.
Per i sindacati, è una Waterloo: si sono mossi con un decennio di ritardo e la guerra contro il lavoro festivo è persa. I clienti sono felici, i dipendenti rassegnati. «Diciamo tutti le stesse cose: lavorare a Santo Stefano è ingiusto, i consumatori potrebbero aspettare il 27 dicembre e in queste giornate si fanno poche vendite e tanti cambi — spiega Sara, giovane commessa di My Style Bag — che volete che faccia? Non posso mica rifiutare e starmene a casa». Di fronte, nel negozio di Altalana, una delle tre dipendenti fa questo lavoro da trent’anni. «Non avevo mai lavorato a Santo Stefano ma rispetto le regole del mercato. Così cannibalizziamo i fatturati ma se tutti tengono aperto, tocca pure a noi». La colpa non è del fondo Blackstone, proprietario dell’Outlet. «Guardate fuori: queste persone potevano stare a casa o fare altro. Oggi ci sono molte alternative, tutti i centri commerciali sono operativi: hanno scelto di essere qui perché siamo aperti, forse sarebbero andate a Elnòs, a Orio, al Centro di Arese». La voce fuori dal coro, o forse che viene dal futuro, è quella di Cristian Camanini, muratore di Provaglio trapiantato in Nuova Zelanda e tornato in Italia per le vacanze natalizie: «Da noi, per il boxing day, tutti i negozi sono aperti e proprio non mi sento in colpa per essere qui. Dovevo cambiare un maglione e un giorno vale l’altro». Una possibile soluzione, forse l’unica, la indica un cliente di Tailor Club: «Ai consumatori le aperture festive piacciono perché sono liberi e annoiati. Non tutti comprano ma con i cambiamenti del mercato tornare indietro è impossibile: i dipendenti devono accettare questa situazione pretendendo, giustamente, di essere pagati di più».