DIALOGHI TRA CITTÀ E CARCERE
Nella settimana precedente il Natale per tre volte la comunità esterna ha valicato le mura di Canton Mombello, creando tre insolite occasioni di dialogo con la comunità carceraria, rappresentata sia dalle persone detenute sia dalle donne e dagli uomini che in essa svolgono quotidianamente il proprio lavoro. Nella prima, un noto leader di un partito politico, diciamo poco propenso all’inclusione degli stranieri, ospite di un sindacato di polizia penitenziaria, si è intrattenuto con alcuni astanti su temi inerenti la gestione del sistema carcerario. Ne sono scaturiti concetti di marcata intransigenza verso i detenuti stranieri, spesso sconfinati in palese ostilità verso gli stessi. Nella seconda alcuni bambini di una scuola primaria e ragazzi di una secondaria di primo grado, stimolati dalla Garante dei detenuti e dai loro docenti, hanno scritto biglietti di auguri per le persone recluse nei due istituti penali bresciani, esprimendo i loro sentimenti di auguri per le imminenti festività e dando vita a una comunicazione vivace ed edificante, naturalmente comprensiva anche degli stranieri, sia fra i mittenti sia fra i destinatari, e anche per questo, di significativo valore aggiunto. Nella terza un detenuto mussulmano ha chiesto al Vescovo di Brescia, prima della messa natalizia in carcere, di pregare insieme a lui e agli altri detenuti, italiani e stranieri, per le persone in difficoltà in questo nostro mondo.
Il Vescovo ha risposto accettando l’invito. E tutti i presenti hanno levato al cielo le loro suppliche di pace. Tre modi diversi di avvicinare la comunità carceraria; il primo accentua e rimarca le differenze, mentre gli altri due evidenziano i punti di contatto. Tre modi diversi anche di affrontare un problema esistente e concreto, quello delle persone straniere recluse, portatrici di culture e fedi differenti. Un tema particolarmente sentito in un carcere come il «Fischione» (l’ex Canton Mombello) dove la presenza degli stranieri è storicamente consistente e dove i problemi della convivenza si sono più volte appalesati; ma sono proprio tali episodi, gestiti soprattutto grazie alla primazia della legalità, riconosciuta e quotidianamente declinata, nel rispetto della nostra Costituzione, da molti operatori penitenziari, che dimostrano come la strada da percorrere sia quella dell’inclusione e del dialogo e non quella della segregazione e della ostilità. Tendo a pensare che anche il Bambin Gesù, nato straniero in terra straniera, concorderebbe.