Corriere della Sera (Brescia)

Le feste con chi non fa più festa

Un trancio di pizza comprato con l’obolo chiesto ai passeggeri: ecco il «cenone» di San Silvestro Viaggio in zona stazione tra Natale e Capodanno La vita di stenti sempre uguale di chi ha perso tutto

- Testi di Michele Barbaro Immagini di Damiano Rossi

Angelo, Nicola, Marisa e gli altri invisibili della stazione. In un reportage le loro storie e le esistenze difficili di chi non fa più festa perché vive per strada chiedendo l’elemosina.

Natale, Santo Stefano e l’ultimo dell’anno sono giorni identici a tutti gli altri per i senzatetto di Brescia. La loro routine non è cambiata durante le feste appena trascorse. È il caso di Angelo, bresciano, cinquanten­ne. Fino a qualche anno fa lavorava per un’impresa edile, una vita normale, una tavola imbandita per Natale. Ora quello che gli è rimasto è solo il suo cane, Soby. Il 25 dicembre si è svegliato, come ogni giorno, nell’antiporta di un ufficio postale, lì ha passato la Vigilia. Al freddo, coperto solo delle coperte racimolate per strada. Avrebbe potuto come molti altri, approfitta­re dei dormitori che la Caritas mette a disposizio­ne, ma ci dice «in quei posti non ammettono i cani, e io Soby non lo voglio lasciare». Una volta sveglio, Angelo si è diretto alla Stazione, centro focale dei suoi giorni. Qui, assieme agli altri senza tetto bresciani è restato fino a sera, ripetendo incessante­mente un tragitto che si è fatto regola. Angelo il suo Natale l’ha passato facendo la spola tra la stazione, la pensilina degli autobus e il piazzale del centro commercial­e Freccia Rossa, chiedendo l’elemosina a chi usciva dai negozi o correva a prendere un treno. «Lavoravo per un’impresa edile — ci racconta — poi con la crisi ho perso tutto. Circa 7 anni fa. Nessuno dei miei familiari mi ha aiutato. Non avevo alternativ­e, se non quella di andare per strada, e così ho fatto».

Mentre cammina con Soby, Angelo incrocia Nicola, sessantenn­e, Kosovaro. Da vent’anni in Italia. Lui, invece non si muove dalla Stazione. Santo Stefano l’ha passato nel piazzale, chiedendo le elemosina ai passanti, e chissà forse spinti dal buon cuore dei giorni festivi, è riuscito a racimolare soldi per comprarsi un pacchetto di sigarette. Questo il suo regalo di Natale. Gli anni passati in Stazione lo hanno segnato. Nicola zoppica, sostenuto solo dal suo bastone. Con il suo forte accento slavo parla della sua vita, passata fra una pensilina e l’altra. Neanche il tempo di fare due parole però, che la conversazi­one si interrompe. Nicola si dirige zoppicando incontro ad una donna che sta per prendere il treno. Le chiede qualche spicciolo. Così farà per il resto della giornata. Così, in fondo fa da più di vent’anni.

Un’altra presenza invisibile della Stazione è Stefano. Modenese, sulla cinquantin­a. Lo si riconosce subito. Ai piedi porta degli stivali fatti da giornali e carta straccia. «È il modo migliore per tenerli asciutti — ci confida — Sono quattro anni che vivo per strada e questo è il metodo più efficace che ho trovato. Viaggio di città in città. Questo Natale mi è capitato di

Angelo e il suo cane Soby Lavoravo in un’impresa edile poi sette anni fa con la crisi ho perso tutto e nessuno mi ha aiutato. L’unica alternativ­a è stata la strada

passarlo a Brescia». Stefano ha la barba lunga. Quando ha perso il lavoro, quattro anni fa ha perso anche il treno con la vita ordinaria. Adesso il suo pranzo di Natale lo cerca nei cestini della stazione. Eppure, camminando verso il centro della città con i suoi Doposci fatti di stracci, tra le vie illuminate a festa e le vetrine luccicanti, Stefano apre squarci su un passato non così diverso da quello di chi gli passa accanto. Nel suo incedere pesante però cozza con i bresciani che camminano felici dopo il pranzo natalizio. Stefano passa senza soluzione di continuità da un argomento all’altro. Il suo è un italiano forbito e ogni tanto parla in francese. Non spiega però chi fosse prima di calzare queste nuove scarpe. Ogni tanto ferma un passante, che intimorito gli offre una sigaretta. Poi, quando il sole sta per calare, e l’aria si fa pungente, decide di sparire, un’altra volta.

Tornando verso la Stazione si incrocia Marisa, italiana, sessant’anni. Un’altra cittadina di questo quartiere popolato da invisibili. Marisa ha il suo posto fisso. Vicino al centro commercial­e Freccia Rossa, alla fermata degli autobus. Le sue giornate sono identiche l’una all’altra. Così è anche l’ultimo giorno dell’anno. Quando raccoglie qualche soldo va immancabil­mente da «D’Angelinos» una delle pizzerie al trancio che si trovano sotto la pensilina degli autobus, accanto alla stazione. Lì la conoscono bene: «Buongiorno contessa — la salutano i due pizzaioli — vuole il solito?». Marisa non cambia mai menù: mezza pizza e una porzione di patatine fritte. Una volta concluso il suo personalis­simo cenone di fine anno, Marisa torna a sparire sotto la sua pensilina.

Quando Marisa se ne va, gli avventori casuali di «D’Angelinos», quelli che bevono un caffè in attesa di prendere un bus per andare a festeggiar­e il nuovo anno, commentano la sce- na. L’opinione comune è quella che si sente sempre più spesso: «Questa gente non ha niente, nemmeno per Natale e poi c’è chi è appena arrivato in Italia e gli viene dato tutto». Chiacchier­e da bar che danno un’idea di cosa pensi la gente comune. I pendolari che frequentan­o la stazione hanno imparato a convivere con i senzatetto. Una presenza costante, che si confonde con i tanti «non-luoghi» del quartiere. Sono sempre di più gli invisibili che si incrociano ogni giorno attorno alla stazione di Brescia. Gente schiva, che vive all’ombra della città. «Sono aumentati gli italiani» afferma uno dei baristi. «E per loro lo Stato non fa niente» chiosa un cliente. In effetti i visi dei senzatetto bresciani sembrano familiari. Sono i visi di padri di famiglia, colleghi, vicini di casa. A guardar bene però, si incontrano anche volti inaspettat­i. Segno di un nuovo mondo che avanza. Come quel senzatetto orientale, probabilme­nte cinese, che ogni giorno ripete ossessivam­ente lo stesso percorso tra i bar e la biglietter­ia dei bus. Un quadrato perfetto, un bar dopo l’altro, da una parte e dall’altra della strada. Il 31 dicembre non ha fatto altro. La sua figura lascia perplessi. «Di cinesi per strada, finora se ne erano visti pochi» afferma uno dei tanti pendolari della stazione. Questo ragazzo (non avrà più di trent’anni) però non si fa avvicinare. Con sé ha solo uno zaino e un paio di borse imbottite di roba.

C’è anche chi si lascia avvicinare. Come un’uomo rumeno, 45 anni. Dice di dormire in una delle tante case vuote della periferia di Brescia. Non avendo un tetto dove stare, quella è stata la sistemazio­ne migliore che ha trovato, almeno per l’inverno. «Ci sono altri che come me vivono nelle case abbandonat­e qua attorno» afferma mentre chiede qualche spicciolo. Fa il muratore saltuario, però lo chiamano sempre meno. E il costo della vita è sempre più alto.

Poi la sera cala. E mentre la città illuminata a festa si prepara a celebrare l’anno nuovo, i senzatetto bresciani velocement­e spariscono, cercando un riparo per la notte. Chi torna a dormire nell’antiporta della posta, chi ospite di un centro della caritas, chi in una sistemazio­ne di fortuna. Alla fine il conto alla rovescia parte. I fuochi d’artificio illuminano il cielo di Brescia, per le strade del centro in molti salutano l’anno che finisce. Per Stefano, Angelo, Marisa, Nicola e tutti gli abitanti della stazione invece questo non è stato altro che un giorno vissuto, come è loro solito, alla giornata. Una giornata sempre identica a se stessa. Uomini e donne che con il passare del tempo si sono dovuti dimenticar­e dei giorni segnati in rosso sul calendario. Aspettando che il freddo passasse e che la stazione tornasse, al mattino, a prender vita.

I pizzaioli di «D’Angelinos» Buongiorno contessa: vuole il solito? Pizza e patatine fritte è il menù fisso di Marisa Questa gente non ha niente nemmeno per passare il Natale

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