REDDITO DI BASE E PROSPETTIVE
Di fronte agli effetti non desiderabili di una globalizzazione asimmetrica, diseguale e iniqua, di fronte ai tassi crescenti di povertà relativa e della non uniforme disponibilità di reddito, nasce la necessità innanzitutto di nuove alleanze pubblico-privato, nuovi patti stato-mercato, nuove collaborazioni scienza-natura per riavviare anche meccanismi di welfare con misure capaci di coinvolgere e motivare, attrarre talenti, incentivando creatività e produttività lungo linee gestionali più partecipative. Ma nelle fasce dai 18 ai 28 anni abbiamo bisogno anche di altro. Abbiamo la necessità di strumenti aggiuntivi forti e capaci di avviare e/o riavviare al lavoro le persone lungo linee di formazione qualificata e canalizzata in parallelo con apprendistato e alternanza scuola-lavoro. Il reddito di base può essere utile in questa direzione, non come misura generalizzata, ma attentamente delimitata nelle età dei giovani cui erogare le risorse, verificando nel tempo la sua efficacia, anche come fattore capace di «sganciare» i giovani italiani dalla eccessiva dipendenza familiare (siamo tra gli ultimi posti nell’Ue). Il reddito di base non è idea nuova nella storia economica moderna, ma ora sembrano emergere condizioni strutturali che lo potrebbero rendere di qualche efficacia. Costi rilevanti se pensiamo ad una platea italiana di 5 milioni di giovani a 600 euro al mese pari a 3 milioni di euro (solo per giovani «bisognosi»), ma non impossibili da reperire, guardando ai vantaggi potenziali derivanti anche da minori sussidi. Un costo che vale la pena sperimentare e valutare in cicli biennali per efficacia ed esiti, in termini formativi, di lavoro e d’impresa. Un volano per l’economia e la società che negli ultimi 25 anni hanno visto incepparsi i meccanismi di ascensione sociale che invece necessitano di essere rimodellati robustamente, evitando di allargare il baratro tra chi può e chi non può, tra chi ha voce e chi non ne ha, tra chi accede agli studi e chi no. Nei paesi industrializzati se diminuiscono le tasse come negli ultimi 35 anni, cresce il gap demografico (invecchiamento e denatalità), decrescono le nuove imprese e aumentano vecchie e nuove povertà, si richiedono interventi strutturali che riavviino nuove motivazioni, competenze, innovazione, riducendo le diseguaglianze, soprattutto nell’accesso alle risorse. Ma se ci sono altre idee costruttive e realistiche ben vengano e la politica farà bene a confrontarle senza pregiudizi.