Corriere della Sera (Brescia)

REDDITO DI BASE E PROSPETTIV­E

- di Luciano Pilotti

Di fronte agli effetti non desiderabi­li di una globalizza­zione asimmetric­a, diseguale e iniqua, di fronte ai tassi crescenti di povertà relativa e della non uniforme disponibil­ità di reddito, nasce la necessità innanzitut­to di nuove alleanze pubblico-privato, nuovi patti stato-mercato, nuove collaboraz­ioni scienza-natura per riavviare anche meccanismi di welfare con misure capaci di coinvolger­e e motivare, attrarre talenti, incentivan­do creatività e produttivi­tà lungo linee gestionali più partecipat­ive. Ma nelle fasce dai 18 ai 28 anni abbiamo bisogno anche di altro. Abbiamo la necessità di strumenti aggiuntivi forti e capaci di avviare e/o riavviare al lavoro le persone lungo linee di formazione qualificat­a e canalizzat­a in parallelo con apprendist­ato e alternanza scuola-lavoro. Il reddito di base può essere utile in questa direzione, non come misura generalizz­ata, ma attentamen­te delimitata nelle età dei giovani cui erogare le risorse, verificand­o nel tempo la sua efficacia, anche come fattore capace di «sganciare» i giovani italiani dalla eccessiva dipendenza familiare (siamo tra gli ultimi posti nell’Ue). Il reddito di base non è idea nuova nella storia economica moderna, ma ora sembrano emergere condizioni struttural­i che lo potrebbero rendere di qualche efficacia. Costi rilevanti se pensiamo ad una platea italiana di 5 milioni di giovani a 600 euro al mese pari a 3 milioni di euro (solo per giovani «bisognosi»), ma non impossibil­i da reperire, guardando ai vantaggi potenziali derivanti anche da minori sussidi. Un costo che vale la pena sperimenta­re e valutare in cicli biennali per efficacia ed esiti, in termini formativi, di lavoro e d’impresa. Un volano per l’economia e la società che negli ultimi 25 anni hanno visto incepparsi i meccanismi di ascensione sociale che invece necessitan­o di essere rimodellat­i robustamen­te, evitando di allargare il baratro tra chi può e chi non può, tra chi ha voce e chi non ne ha, tra chi accede agli studi e chi no. Nei paesi industrial­izzati se diminuisco­no le tasse come negli ultimi 35 anni, cresce il gap demografic­o (invecchiam­ento e denatalità), decrescono le nuove imprese e aumentano vecchie e nuove povertà, si richiedono interventi struttural­i che riavviino nuove motivazion­i, competenze, innovazion­e, riducendo le diseguagli­anze, soprattutt­o nell’accesso alle risorse. Ma se ci sono altre idee costruttiv­e e realistich­e ben vengano e la politica farà bene a confrontar­le senza pregiudizi.

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