Il pizzino ben nascosto con le somme del giro sporco da destinare ai «boss»
Il testo disordinato, in parte scritto a macchina e in parte invece a mano. In alto a destra, su due righe «gemelle», il promemoria: «Camorra:...». Accanto, le somme del giro illecito da destinare agli affiliati malavitosi. Gli inquirenti non hanno alcun dubbio. Sotto, la presunta somma: 84.726,13. Ed «è la prima volta che troviamo un documento simile» dice il procuratore aggiunto Sandro Raimondi.
Quel preziosissimo pizzino di carta, le Fiamme Gialle l’hanno trovato (e non senza fatica) nella sede-bunker in provincia di Napoli, quella con il portone blindato e un complicatissimo sistema di videosorveglianza e sicurezza che l’associazione credeva a prova di forze dell’ordine. E ci sono arrivati anche grazie all’intuito di uno degli uomini della tenenza di Desenzano, che ha partecipato alle indagini e ai sopralluoghi, quelli che hanno portato gli investigatori da Brescia fino alla Campania: durante l’accesso e la perquisizione negli spazi — elegantissimi (con tanto di uffici e sala riunioni) — all’interno del bunker guardandosi attorno, e volgendo gli occhi all’insù, ha notato che quel soffitto aveva qualcosa di strano. E non l’ha sottovalutato. Dislivelli strani, imprecisioni sospette: bingo. Aveva ragione. Occultava un soppalco apparentemente non visibile. Ed è lì che c’era nascosto il pizzino con gli appunti sulle suddivisioni economiche del malaffare. «A dimostrazione dei legami di queste persone con la criminalità organizzata, di stampo camorristico in particolare» conferma Raimondi. E a prova del fatto che il meccanismo è sostanzialmente semplice: del tipo «se non sei dei nostri e vuoi lavorare in questo settore allora devi pagare noi» sono certi gli inquirenti.
Dei «diretti contatti» con la Camorra e del fatto che l’associazione per delinquere che aveva scelto il carburante per fare soldi «agisse con il fine di agevolarla» parla anche il colonnello delle Fiamme Gialle Marco Thione: «Perché abbiamo ricostruito legami soggettivi tra gli indagati e altre persone già destinatarie di misure interdittive antimafia» e perché «questo manoscritto è la conferma delle cifre da riconoscere alla criminalità organizzata». Tesi di fatto poi accolta e contestata anche dal giudice per le indagini preliminari.
L’intuizione di un agente: gli appunti erano custoditi in un soppalco occulto