Butturini, professione reporter: ricordi e confini in bianco e nero
L’uomo che girava con i pantaloni di pelle e fotografava i tossici che si bucavano nelle cabine telefoniche, si mischiava ai metalmeccanici in sciopero e viaggiava dove i refoli della storia diventano tempesta, ha superato qualsiasi confine, geografico e mentale: per Gian Butturini, la Reflex era un’arma di battaglia civile. Ha fotografato il Portogallo dopo la rivoluzione dei Garofani, l’Irlanda dell’Ira, la Cuba dei compañeros, la Berlino della Ddr, i manicomi di Trieste e la Londra del post ‘68. «Solo lungo i viali di Hyde Park — scriveva — mi sdraiai sull’erba e da quella posizione vidi il mondo con occhi diversi. Ebbi l’illusione che fosse davvero possibile catturare con la Nikon l’attimo fuggente». I primi reportage del fotografo e i suoi taccuini con appunti di viaggio sono nella mostra che il Museo della fotografia ha allestito con l’associazione Gian Butturini e Heillandi Gallery: la vernice di «London & Daiquiri» è domani (fino al 4 febbraio). Sessanta immagini in bianco e nero tratte dai libri «London by Gian Butturini» (Damiani) e «Daiquiri 2.0 — Racconti e fotografie di reportage» (Mimesis). Ci sono le vecchie annoiate sui marciapiedi e gli eskimi in Trafalgar square che fotografava con i pantaloni di pelle. Gli scatti che Martin Parr ha scelto per la mostra al Barbican Centre di Londra nel 2016. Le foto sul conflitto tra protestanti e cattolici nell’Irlanda del Nord, la Cuba di Fidel dei primi anni ’70, il Cile di Allende poi di Pinochet, Franco Basaglia e la nuova psichiatria a Trieste, la lotta di liberazione nel deserto del popolo saharawi e tutte le sue battaglie.