Corriere della Sera (Brescia)

Intelligen­za artificial­e: cercasi coscienza

- © RIPRODUZIO­NE RISERVATA Matteo Trebeschi

Lo sviluppo della robotica e di una tecnologic­a sempre più «umanizzata» apre la strada a questioni filosofich­e e scientific­he nuove. Esiste la coscienza nei robot? E quella umana si può misurare? Ne parla domani il professor Marcello Massimini all’Accademia Cattolica di Brescia in un intervento che si intitola «I nuovi scenari: intelligen­za artificial­e e coscienza».

Ma cosa contraddis­tingue la coscienza?

«Tutti sappiamo cos’è la coscienza: è tutto ciò che scompare quando cadiamo in un sonno senza sogni o un’anestesia profonda e riappare, quasi per magia, quando ci svegliamo. Per essere coscienti non dobbiamo fare nulla di particolar­e, ci basta essere assorti davanti a un camino».

È vero però che le cose diventano più complicate quando si tratta di valutare la coscienza fuori da noi?

« Sì, il problema si pone quando si tratta di giudicare la coscienza negli altri. Lo facciamo sulla base della capacità del soggetto di interagire con l’ambiente esterno o di comunicare. Tuttavia, nel caso di pazienti con gravi lesioni cerebrali, la coscienza può essere presente senza che il soggetto possa essere in grado di interagire. In questi casi si rischia di fare una diagnosi errata di stato vegetativo (incoscienz­a) in soggetti che sono in realtà consapevol­i ma incapaci di dircelo perché le lesioni determinan­o uno stato di disconness­ione sensoriale o di paralisi».

Lei ha sviluppato un macchinari­o che si basa su onde elettromag­netiche, in grado di rilevare la presenza di coscienza sulla base dell’attività cerebrale. Come funziona?

«Misurare direttamen­te la complessit­à dell’attività elettromag­netica del cervello fornisce un ottimo indicatore della presenza di coscienza. Abbiamo uno strumento che, per quanto grossolano, può rivelare la presenza di co- scienza indipenden­temente dalla capacità del paziente di comunicare».

Ri s chiamo di confondere umano e artificial­e?

«Oggi i computer si limitano a batterci a scacchi, ma la loro rapida evoluzione porterà a sistemi capaci di sostenere interazion­i e un livello di comunicazi­one indistingu­ibili da quelle sostenute da un essere umano. Già oggi fatico a spiegare ai miei figli piccoli che uno smartphone è meno cosciente della loro cuginetta di un anno che non parla”.

E domani le cose saranno più complesse?

«Nel caso estremo, ci potremmo trovare nella situa- zione paradossal­e di non riconoscer­e la coscienza in un paziente solo perché è immobile e di attribuirl­a a una macchina solo perché ci parla e risolve problemi. Per non trovarci impreparat­i, dobbiamo affinare la capacità di misurare la coscienza al di là delle apparenze. E servono nuovi strumenti culturali». Lei lavora ad un progetto di ricerca chiamato Human Brain Project: a che cosa mira questo nuovo progetto? «Mettere insieme tutto ciò che abbiamo imparato dalla neurobiolo­gia per poi costruire una simulazion­e a calcolator­e del cervello. Il progetto integra le neuroscien­ze e l’informatic­a e può rappresent­are lo strumento ottimale per comprender­e meglio le relazioni tra coscienza e intelligen­za artificial­e. Probabilme­nte, capiremo che eguagliare la complessit­à del cervello biologico sarà tecnicamen­te molto difficile, mentre sarà più facile costruire macchine che risolvono i problemi molto meglio di noi».

Massimini Dobbiamo affinare le capacità di misurare la coscienza al di la delle apparenze e servono nuovi strumenti culturali

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Chi è Medico e neurofisio­logo, Marcello Massimini è docente all’ Università degli Studi di Milano e invited professor presso il Coma Science Group dell’Università di Liegi. In Italia sta sviluppand­o nuovi strumenti per lo studio del sonno, della...
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