L’America delle contraddizioni nell’affresco di una provincia becera in bilico tra noir, dramma e grottesco
Il dio delle piccole cose ama la grande bellezza dei dettagli. Nelle prime sequenze del film, quasi impercettibile, compare una chiave di lettura, una sorta di aleph borgesiano, quel punto minuscolo in cui si concentran o luoghi e tempi. L’agente pubblicitari o, che si appresta ad ascoltare l’inconsueta proposta di Mildred, è intento a leggere un libro di Flannery O’Connor, cattolica morta di lupus a 39 anni, che ha raccontato come pochi il Sud degli Stati Uniti nel suo magma complesso di comicità ed orrore con personaggi che inaspettatamente possono essere illuminati dalla Grazia divina. In «Tre manifesti a Ebbing, Missouri» (a Wiz) l’afflato religioso è fuori quadro, anzi il discorso che Mildred fa al prete sull’omertà e sui panni sporchi della Chiesa, non lascia trasparire misericordia cristiana. Ma a un certo punto si apre una crepa nei cuori di pietra dei protagonisti, quasi un bisogno di mediazione. Il film, superbo, è una immersione nella provincia suprematista bianca americana, becera e iperignorante, patria di tutti gli ismi fetenti, una polveriera di odio e pregiudizio. La pancia dell’America di Trump. Mildred, che non è una pia donna, ma una madremoglie ferita e sconfitta dalla vita, ingaggia una eroica guerra personale con la polizia locale, rea di non aver condotto con solerzia le indagini sulla morte di sua figlia, violentata e uccisa. Affitta i cartelloni pubblicitari su una strada poco trafficata e vi scrive le sue domande scomode, scatenando una tempesta nella stagnante palude di provincia. Frances McDormand è sempre strepitosa, è lei che si fa carico con la sua faccia da sorella minore di Clint (Eastwood, ovviamente) del film, scritto e diretto benissimo da Martin McDonagh, ben dosato nel blend tra noir, grottesco e dramma sempre in bilico, fino ad un epilogo che spiazza il destino.