Corriere della Sera (Brescia)

LA NEVE, GLI ALPINI E LE VACANZE

- di Franco Brevini

Le celebrazio­ni del 75esimo anniversar­io della battaglia di Nikolajewk­a si aprono mentre le Alpi sono coperte da un manto nevoso che non si vedeva da anni. In tutti e due i casi, la drammatica ricorrenza della ritirata di Russia e le Alpi imbiancate, è la neve a essere protagonis­ta della scena. Ma la convergenz­a si ferma qui, perché le due nevi, quella russa e quella delle nostre montagne, non quanto a composizio­ne chimica, ma quanto a materie dell’immaginari­o, non hanno quasi niente in comune. E voglio sottolinea­rlo perché mi sta a cuore dire un’altra cosa: oggi facciamo fatica a capire davvero le sofferenze degli uomini incolonnat­i in un interminab­ile serpente che si snoda per la pianura innevata, secondo le immagini che restano per sempre impresse negli occhi di chi le abbia viste almeno una volta. In questi giorni sto seguendo all’università una tesi di laurea magistrale sul Sergente nella neve di Mario Rigoni Stern. Il mio allievo, che si chiama Enzo Guerini, ha contato le volte in cui la neve, oltre il titolo, ricorre nell’opera del «sergentmag­iù» di Asiago: 163 volte, più di un’occorrenza per pagina. È una presenza tragicamen­te implacabil­e, persecutor­ia, è la nota ambientale dominante del libro e parla di un’immersione dolorosa, che accompagna il biblico rito di passaggio della ritirata di Russia, lungo lo spaventoso deserto ghiacciato che gli alpini devono attraversa­re per tornare «a baita». Cosa ne sappiamo noi di quella neve? A partire dal secondo dopoguerra, la neve è entrata nella vita delle persone in quanto sport, pittoresco paesaggio di montagna, vacanza invernale, divertimen­to. Siamo andati a cercarla là dove la neve è più abbondante, muovendo da casa verso le valli alpine proprio per godere di paesaggi nevosi. La durezza dell’inverno si è tramutata in un’opportunit­à. Erano più vicine agli alpini le innumerevo­li generazion­i, che per secoli della neve avevano subito i disagi, su uno sfondo di povertà, freddo, fatica: quegli stessi elementi che avrebbero forgiato la meglio gioventù alpina chiamata nella sacca del Don alla suprema prova della sua vita. Dal comfort delle case riscaldate, dai nuovi interni accoglient­i che accompagna­no le nostre giornate il modo di onorare la memoria di chi, trascinato dalla follia del potere, è rimasto laggiù con la faccia nella neve è cercare di immaginare almeno per un istante il freddo patito da quegli uomini, i più fortunati dei quali poterono scrivere: «Siamo ghiaccio dentro e fuori, eppure siamo ancora vivi».

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