«Siamo sotto choc La sicurezza non è soltanto un costo»
Rocchi (Cgil): serve investire in formazione
«Ancora troppi incidenti sul lavoro in città. Troppi lutti. Siamo contenti di poter definire Milano capitale della modernità, ma può esistere una modernità senza sicurezza?». Gabriele Rocchi fa parte della segreteria della Camera del lavoro e ha la delega sui temi legati alla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. In passato si occupato a lungo di edilizia, settore particolarmente martoriato, abituato a contare parecchie vittime ogni anno.
«Si sta facendo molto sul piano della prevenzione e della sicurezza, ma evidentemente non abbastanza», commenta anche il segretario della Fim Cisl milanese Christian Gambarelli. E in effetti, a Milano, lo scorso anno il macabro conteggio delle morti bianche si è fermato a quota 29. Alla faccia delle nuove tecnologie, della scomparsa del lavoro manuale e della rivoluzione 4.0, Milano resta in testa alla tragica classifica in Lombardia sia per le morti sia per gli incidenti: oltre 39 mila prima dell’ultimo trimestre dello scorso anno, con un incremento del 3,8 per cento rispetto al 2016. E il 2018 si apre con la strage di Greco.
Rocchi, da quanto tempo nella città capitale dell’economia non si verificava una tragedia sul lavoro di proporzioni simili?
«Questo è un choc fortissimo. Credo che si debba tornare molto indietro nel tempo per trovare un precedente paragonabile. Segno che le cose sono cambiate, per fortuna, ma di anno in anno le statistiche raccontano ancora una realtà difficile. E il solo fatto che siamo qui a parlare di tre morti e un quarto lavoratore in condizioni gravissime significa che, al di là delle molte cose positive che si realizzano a Milano, c’è ancora molto da fare su questo fronte». Ma cosa bisognerebbe fare? Cosa non viene fatto?
«Per questioni come la sicurezza non bastano slogan o etichette, è un tema che va presidiato e coltivato con continuità. Occorre formazione,
occorrono investimenti e queste sono due parole che si schiantano troppo spesso con altre parole: precarietà, erosione dei diritti». E cosa c’entrano con la sicurezza?
«Sono molto connessi, le statistiche sono chiare: analizzando i tanti casi di incidenti sul lavoro emerge che spesso le vittime sono anche lavoratori precari, se non del tutto irregolari, privi di formazione, strumenti e diritti». Le aziende come vivono questo tema?
«Diciamo che ci troviamo alle prese con un’attenzione non omogenea. In molti casi in modo virtuoso e lungimirante, con investimenti in tecnologia e formazione, consapevoli che si tratta di una visione di lungo respiro. Altri, invece, continuano a considerare la sicurezza esclusivamente come un costo. Solo che si tratta di un costo non recuperabile: se qualcuno perde una gamba o la vita, non c’è più nulla da fare». Quindi cosa bisogna fare dopo questa tragedia?
«Di sicuro rilanciare l’attenzione sull’inalienabilità del valore della sicurezza. In una città moderna, in un Paese civile, nessun lavoratore deve rischiare di non tornare a casa alla sera».