Corriere della Sera (Brescia)

«Noi, vivi per miracolo» Il dramma dei tre muratori

Merighi: «Ero nello stesso vagone con le tre donne che non ce l’hanno fatta»

- Mara Rodella

In serata la voce trema ancora. Concitata, sollevata. Rotta ora dalla paura impressa negli occhi e nelle mani, ora dall’incontenib­ile adrenalina di essere lì a raccontarl­a, quella tragedia sfiorata. Perché sul treno della morte c’erano anche alcuni pendolari bresciani: perlopiù operai di casa nella Bassa che lavorano nei cantieri edili dell’hinterland milanese. E partono all’alba. Come quel maledetto convoglio numero 10542, partito da Cremona e deragliato poco prima delle 7 a Pioltello. In quattro, nel pomeriggio, si sono presentati al pronto soccorso dell’ospedale di Chiari. Da soli, doloranti, sconvolti e frastornat­i: hanno rimediato lievi traumi e contusioni, per fortuna. Uno ha inalato fumo. Nella testa i fotogrammi di lamiere accartocci­ate, finestrini in frantumi, sedili divelti, sangue e urla.

«Abbiamo pensato di morire» sussurrano in due. Poi un respiro. Sono vivi. Battista Merighi, 58 anni, di casa a Roccafranc­a (così come altri due viaggiator­i, uno illeso) era proprio a bordo del vagone in cui si trovavano le tre donne che non ce l’hanno fatta. E pensarci toglie il fiato. «A un certo punto, improvvisa­mente, ho sentito il vuoto e sono scivolato sotto i sedili, mentre la gente urlava» ricorda. Poi gli scossoni, il caos. «Speriamo solo che il treno si fermi e stiamo a vedere cosa succede» ha pregato.

«Siamo vivi per miracolo» gli fa eco Simone Franzelli, pure lui di Roccafranc­a. «Ho sentito come una sassaiola sotto il convoglio. Poi un sobbalzo, e un movimento ondulatori­o, qualcosa di sicuro non andava». Fuori, lo ricorda benissimo, «c’erano scintille ovunque». A quel punto è un attimo: «A prendere il sopravvent­o è l’istinto di sopravvive­nza, quello che ti spinge ad aggrappart­i e sperare solo vada tutto bene». Anche «i miei colleghi, che invece viaggiavan­o nelle prime carrozze di testa — spiega il signor Battista — hanno visto sassi e pezzi di lamiere volare ovunque. Un fischio, e un altro treno arrivare dalla direzione opposta e passare evitando il frontale per un pelo, altrimenti sarebbe davvero stata una catastrofe».

Fino a che il treno non ha sbattuto «contro un palo». E si è fermato. Mentre il cuore di chi ce l’ha fatta ricomincia­va a battere all’impazzata. «Ho cercato di aiutare gli altri passeggeri in difficoltà a scendere. Restare a bordo era troppo pericoloso» dice Simone. E subito «ho chiamato la mia compagna per dirle che stavo bene. Perché ho davvero temuto di non vederli più: nè lei nè il mio bimbo che ha solo pochi mesi». Anche Battista ha telefonato a sua moglie. Fuori l’apocalisse: «Quando ci siamo accorti di ciò che era successo ho realizzato che poteva finire davvero molto peggio». E ora sono «i pianti, le lacrime, gli abbracci: siamo qua».

Sono già le otto di sera. E Angelo — che di cognome fa pure lui Franzelli, e pure lui abita a Roccafranc­a — è ancora sotto choc. Difficile trattenere le lacrime, la paura. Per fortuna è rimasto illeso — «ero seduto in uno dei primi vagoni» — ma «ho visto tutto».

Al suo fianco, e a disposizio­ne dei suoi cittadini coinvolti nel disastro, c’è il sindaco di Roccafranc­a, Emiliano Valtulini. «Sto cercando di rintraccia­rli tutti per dare loro supporto e conforto. E continuerò fino a che non avrò parlato con ognuno di loro».

Simone Franzelli

«Ho chiamato subito la mia compagna. Temevo che non avrei più rivisto lei nè tantomeno il mio bambino che è nato da pochi mesi

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Sopravviss­uti Tra chi l’ha scampata e tra i feriti lievi anche dei bresciani. Il racconto di tre dii Roccafranc­a
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