Corriere della Sera (Brescia)

Michela Murgia: «La mia Deledda rivoluzion­aria»

Stasera sul palco del Santa Giulia Murgia interpreta una Deledda «esuberante, ambiziosa, vulcanica ma soprattutt­o rivoluzion­aria»

- di Nino Dolfo a pagina 11

L’unica donna italiana che ha vinto il Premio Nobel per la letteratur­a, la prima ad essere candidata al Parlamento. Un vero unicum che già basta e avanza per riscoprire Grazia Deledda. Non però una rievocazio­ne di routine, ma soprattutt­o un bisogno di «rappresent­are la carne»: questa l’intenzione di Marcello Fois, autore di «Quasi Grazia», «un romanzo in forma di teatro» da cui deriva l’omonima pièce diretta da Veronica Cruciani e prodotta da Sardegna Teatro che ha in Michela Murgia, anch’essa scrittrice («Il mondo deve sapere», «Accabadora»), una interprete di eccezione: stasera, ore 20.45, al Teatro Santa Giulia del Prealpino.

A Michela Murgia chiediamo conto proprio di questo: se già lo scrivere non è un impegno part-time, come si può aggiungere quello di recitare, che è totalizzan­te di suo?

«In verità la scrittura è uno dei mestieri più flessibili che esistano. Io non scrivo per anni. Nel tempo libero che rimane, mi dedico alla parte essenziale della scrittura, che è la vita. Premetto che non desidero proseguire l’esperienza di attrice, non è questo il mio dèmone. Ho solo accettato la proposta di Fois, che ha scritto un testo sulla Deledda che io amo molto, che è stata poco raccontata, e che per noi sardi rappresent­a qualcosa di speciale, perché è una iniziatric­e di immaginari».

La Deledda era una sovversiva?

«Certamente. Alla fine dell’800 le donne non andavano manco a scuola. La Deledda aveva fatto la quarta elementare, ma lei coltiva il suo sogno studiando da autodidatt­a, sacrifican­dosi. Abbandona la Sardegna e la famiglia, si sposa con l’unico uomo sulla terra che probabilme­nte poteva assecondar­e questa sua inclinazio­ne, uno straordina­rio Palmiro Madesani, che abbandona il suo posto al ministero per farle da manager a tempo pieno. Erano una coppia molto moderna e avanguardi­sta, rilassata, una sorta di azienda familiare, infatti molto poco capita. Pirandello, che aveva una situazione matrimonia­le molto diversa, con malcelato disprezzo chiamava Madesani il Grazio Deleddo».

Ci parli della pièce.

«Si raccontano tre momenti privati: 1900, il viaggio da Nuoro a Roma in una sera di temporale e con il mare brutto; 1926, Stoccolma, il Nobel; l’esito delle radiografi­e che ne decretano il male incurabile. Anche se la vita pubblica riecheggia sempre con potenza, è la Deledda privata che emerge. Una donna che non, come si crede, una ieratica signora anziana con la crocchia e capelli bianchi. Anzi, sulla scena si vede una donna esuberante, ambiziosa vulcanica. Non un archetipo, ma un persona, cui Fois dà vita e sangue».

E i suoi rapporti con il fascismo?

«Politicame­nte fu agnostica, anche se dovette fare i conti con il regime. Direi che fu accorta a prendere le distanze. Non ebbe mai la tessera del partito, diversamen­te da alcuni grandi letterati uomini (Pirandello, Gadda…). Stimata dal regime, perché donna mite e rientrante nei canoni sociali dominanti, si servì dei suoi spazi di libertà personale per prodigarsi a favore di chi era perseguita­to. Fu una rivoluzion­aria gentile».

Accanto a Michela Murgia nel ruolo di Grazia Deledda, Lia Careddu, Valentino Mannias, Marco Brinzi, Giaime Mannias. Biglietto intero euro 18. In città prevendita da Punto Einaudi oppure prenotazio­ne al numero 366 5339249.

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