Corriere della Sera (Brescia)

ALLE RADICI DELLA SANTITÀ

- Di Massimo Tedeschi

Questione di stile. Di spessore. Di tempi. Quando vennero celebrati i funerali di Paolo VI, il 12 agosto 1978, tutti gli osservator­i sottolinea­rono la sobrietà del rito, insistette­ro sulla solitudine dell’uomo, non mancarono di evidenziar­e la scarsa popolarità del Pontefice. Il momento più emozionant­e fu quando un vento di ponentino, inatteso e enigmatico, prese a sfogliare il Vangelo aperto sulla bara spoglia. Quando, ventisette anni dopo, l’8 aprile del 2005, vennero celebrati i funerali di Giovanni Paolo II, lo stesso vento sfogliò allo stesso modo il Vangelo e dalla folla oceanica si alzò l’invocazion­e «santo subito» a suggello di un’emozione corale. Il Papa polacco, anche sull’onda di questa invocazion­e popolare, è stato proclamato santo nel 2014, dopo una procedura particolar­mente rapida. Il Papa bresciano lo diventerà quest’anno, ma è come se l’attesa fosse servita a far riscoprire la figura di papa Montini, a far lievitare la consapevol­ezza della sua grandezza, a far emergere la profondità del segno da lui lasciato nella storia della Chiesa, a far rifulgere le sue doti spirituali, intellettu­ali, umane. E Brescia può legittimam­ente provare un moto d’orgoglio, davanti alla decisione del Vaticano di elevare il Papa bresciano all’onore degli altari, perché c’è molto della nostra città, della sua storia e della sua spirituali­tà, nella vicenda di quell’uomo fragile e indomito che la Chiesa — e il mondo con lei — va riscoprend­o.

Fu lo stesso Montini a sottolinea­re — nelle circostanz­e più solenni e in quelle più feriali — il suo legame con la terra d’origine, i familiari, gli amici, Brescia e il santuario delle Grazie, la casa natale di Concesio e quella delle vacanze al Dosso di Verolavecc­hia. E poi il debito di riconoscen­za verso i maestri, gli educatori, i padri della Pace, i laici come Andrea Trebeschi che avevano condiviso con lui le battaglie giovanili. Il pensiero (e la benedizion­e) a Brescia ricorrono nei testi più intimi e raccolti, come il Testamento e il Pensiero alla morte. Ma c’è anche un’antologia di testi — sicurament­e incompleta — che documenta almeno una sessantina di occasioni in cui Paolo VI accolse gruppi di semplici fedeli giunti da Brescia, li citò pubblicame­nte, li ringraziò. Nel solenne saluto rivolto il 29 giugno 1963, otto giorni dopo l’elezione, alla delegazion­e ufficiale giunta da Brescia, esprimeva verso la sua città «gratitudin­e per gli esempi di virile fortezza, sincerità, laboriosit­à; una vera armonia fra le virtù umane e le virtù cristiane, tale da essere da me sempre ricordata in esempio e in benedizion­e». Di fronte alla delegazion­e del Consiglio comunale che lo incontrò il 10 dicembre del 1977 in Vaticano (circostanz­a di cui è stato ricordato recentemen­te il quarantenn­ale) papa Montini quasi si scusò per non aver mai visitato da pontefice la terra natale: «Forse ho dato l’impression­e di un distacco dalla mia città, non ho mai presenziat­o a cerimonie, ma nel mio cuore Brescia è stata sempre presente». Quella fu anche l’occasione per ribadire la propria gratitudin­e «all’ambiente umano, familiare e sociale, che ci accolse, ci sorresse, ci guidò, accompagna­ndo i nostri passi con la luce indicatric­e di insegnamen­ti sapienti, con la forza tonificant­e di sentimenti magnanimi, con la testimonia­nza trascinatr­ice di esempi memorabili». Paolo VI, nella più compiuta biografia a lui dedicata da Fulvio De Giorgi, è definito «il Papa del moderno». Non è un’attributo pacifico. Racchiude l’indicazion­e di una stagione drammatica, di un nucleo incandesce­nte del magistero montiniano, di un groviglio epocale che Paolo VI ha dovuto districare, di una fosca e grandiosa stagione che Montini ha dovuto governare spiritualm­ente. Lo ha fatto con il bagaglio di valori, idee, accensioni spirituali che oggi tutti gli riconoscon­o e ammirano (papa Francesco in primis): tratti che vengono dalla lunga fiammeggia­nte storia del cattolices­imo bresciano, sociale e solidale, dialogico e fermo, moderno e creativo, aperto e battaglier­o, colto e popolare. Davvero la santità di Montini viene da lontano. Ed è una santità, sia detto senza campanilis­mo, molto bresciana.

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