Corriere della Sera (Brescia)

Così si vince l’ansia in classe

- Di Elisabetta Favalli Gabusi*

«Per me un’emozione è qualcosa che prende forma, cresce e cambia. Non puoi comandarla ma solo farle strada per esternarla. A scuola mi è difficile provare emozioni belle; nel cuore solo paura, ansia, gioia qualche volta, ma poca». Rileggo queste righe scritte in classe da Luca (il nome del mio alunno è di fantasia) e mi interrogo come insegnante e come genitore.

Davvero la scuola è così arida di emozioni belle?

Ogni giorno incontro ragazzi e ragazze che condividon­o con me un po’ della loro adolescenz­a, che mi guardano con occhi sgranati e sorpresi, che rispondono con sime lenzi imbarazzan­ti, ma pur sempre autentici, alle domande che la quotidiani­tà pone loro. Giovani che mi permettono di entrare nelle loro vita per e-ducare, tirar fuori il meglio. Eppure qualcosa non va.

Chiedo loro che cosa sentono, nella massima libertà di esprimersi, senza giudizio né commento da parte mia. Mi rispondono che si vivono «gruppoclas­se» e non «singolo», che il «Programma» da svolgere scavalca il loro «essere persona», che spesso per i genitori è più importante «il voto» del «come è andata oggi». Sono affermazio­ni che mi fanno riflettere e mi mettono molto in discussion­e sia come insegnante che co- genitore. Davvero passa solo questo? Davvero ciò che resta dopo una mattinata scolastica è solo ansia, è paura, è rabbia?

Poco tempo dopo questo fatto, sono invitata da un’amica ad un incontro per genitori. Non so molto. Mi fido. Decido di andare.

Mi ritrovo a «Le parole dei bimbi». Rimango immediatam­ente colpita dalla conduzione informale (un cerchio, tanti genitori, niente cattedra né slide) e, al tempo stesso, dalla serietà con cui si affrontano i più svariati argomenti relativi all’infanzia, dal sonno al cibo, dalla relazione con i fratelli a quella con i pari passando da genitori che si vivono sbaglia- ti perché i figli non corrispond­ono alle loro aspettativ­e. Incontro dopo incontro si fa spazio in me un nuovo modo di sentirmi e di sentire. Non mi viene fornita nessuna formula magica ma comprendo e prendo confidenza con le mie emozioni e imparo ad esprimerle, con fatica, ma senza paura.

Cambia, nel tempo, il mio modo di essere genitore; non ho più paura a dire sì oppure no, di concedermi del tempo vuoto, perché cuore e testa parlano, ora, la stessa lingua.

Forte di questo ben-essere, provo a lavorare così anche a scuola. Cambiato il cuore, cambia lo sguardo.

Noi insegnanti abbiamo una visuale privilegia­ta: da un lato viviamo lo stupore di veder crescere i nostri ragazzi, dall’altro affrontiam­o la sfida quotidiana di scommetter­e su di loro, di valorizzar­e il loro essere unici e irripetibi­li. L’ho imparato. L’ho messo in pratica. Ho visto i risultati.

È davvero importante che anche la scuola prenda a cuore l’educazione alle emozioni, non solo per i piccoli ed i loro genitori, ma anche per gli «addetti ai lavori».

Caro Luca, io mi preparo: so che, se il cuore è aperto, la luce entra.

* Insegnante della Scuola secondaria di primo grado «Calini» di Padenghe

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