Islam bresciano multicolore Ma l’integrazione è lontana
La rivista Limes pubblica un saggio sui musulmani in provincia: sono il 6% della popolazione, vengono da oltre 30 Paesi
«Sebbene in termini assoluti a Roma e Milano risieda il numero maggiore di cittadini islamici, in rapporto al numero degli abitanti è Brescia la realtà più musulmana d’Italia. Non solo: la città è terza a livello nazionale per numero di cittadini musulmani. E mentre nel nostro Paese gli individui di fede islamica rappresentano il 3% del totale, i musulmani bresciani raggiungono il 6% della popolazione locale». Comincia così il saggio di Michele Groppi — ricercatore del King’s College di Londra— sul nuovo numero del mensile di geopolitica Limes diretto da Lucio Caracciolo.
Nonostante un calo del 7% rispetto al 2015, a livello provinciale nel 2017 la comunità islamica bresciana ammonta a quasi 70mila persone da oltre 30 Paesi: 19mila dall’Albania; 15mila dal Marocco; 12mila dal Pakistan; 7mila dal Senegal.
«Rapportati al numero di cittadini stranieri fra città e provincia, i musulmani rappresentano poco più del 40%. Nella classifica dei gruppi stranieri, tuttavia, cinque delle prime dieci posizioni sono occupate da Paesi di origine musulmana: albanesi e marocchini sono preceduti solo dai cittadini romeni, mentre pakistani, senegalesi ed egiziani si classificano al quinto, settimo e decimo posto». Inoltre «nella classifica maschile i kosovari portano a sei i gruppi di origine islamica, mentre in quella femminile i gruppi nazionali rimangono cinque. Fatta eccezione per la comunità marocchina, in ogni altro gruppo nazionale gli individui di sesso maschile risultano in netta maggioranza rispetto alle donne».
Sin qui i primi dati del testo che poi si ferma su diversi ambiti. Ad esempio i luoghi di culto: mentre resta aperta la proposta per la costruzione di una moschea con fondi del Qatar, al momento sono ventitré quelli censiti nel bresciano, i più rilevanti dei quali sono in via Volta (dove si riuniscono i pakistani) e in via Corsica (nordafricani e arabi). O i rapporti con le istituzioni cittadine: punta dell’iceberg di un disagio sociale percepito, con tre quarti dei musulmani bresciani che — secondo uno studio fatto su un campione indicativo — si sentono discriminati in quanto tali, e per oltre la metà percepiscono diffidenza da parte della popolazione autoctona.
O, ancora, il giudizio sulla nostra politica estera verso i Paesi islamici: con nove musulmani bresciani su dieci che la considerano ingiusta; ed otto su dieci che non esitano a condannare al-Qå‘ida e l’Isis. «Sebbene la maggior parte dei musulmani bresciani condanni fortemente terrorismo e radicalizzazione, Brescia e provincia hanno ricoperto un ruolo primario nello scacchiere jihadista italiano. Brescia è il luogo di appartenenza di pericolosi jihadisti, che almeno in tre occasioni han- no progettato attentati proprio contro la città» continua Groppi, richiamando a sostegno della tesi profili balzati alle cronache negli ultimi anni. Da Mostafa Chaouki — che nel 2003 si fece esplodere davanti ad un McDonald’s fortunatamente senza far vittime — ai quattro kosovari arrestati nel dicembre 2015 per legami con jihadisti in Siria. Con loro Mohammed Jarmoune, Anas el Abboubi, Lassaad Briki, Mohammed Waqas, Musa Cerantonio, Riadh Nasri, ecc.
«Alla luce delle sfide sociali e dei trascorsi jihadisti della città, i musulmani bresciani guardano al domani con un misto di incertezza e speranza» osserva Grompi. Una metà prevede che la tensioni non aumenteranno, l’altra metà che un attentato possa accadere anche in Italia.
Per la maggioranza dei musulmani bresciani le chiavi per un futuro migliore sono l’educazione al pluralismo (67%) e una maggior integrazione (88%). La prima sfida per la Loggia è quella demografica: per il Pew Research Center di Washington nel 2030 la comunità islamica italiana crescerà del 102%: come ne risentirà Brescia? L’altra urgenza è scongiurare la nascita di periferie stile Saint-Denis o Molenbeek attorno all’anello stradale cittadino dove molti lavorano nell’industria siderurgica, meno visibili dei musulmani che lavorano in città, tra via Milano, via Corsica, via Volta, il Carmine. Per tutti servono veri processi d’integrazione. Se non ci saranno, «la creazione di ghetti impoveriti, infiltrati da criminalità e visioni radicali, abitati da cittadini frustrati e alienati potrebbe trasformare Brescia in una polveriera» continua Grompi.
Allarmismo? Seppur fisiologica, la frammentazione dei gruppi islamici non facilita il compito delle giunte comunali. Né l’aiutano attitudini socialmente controverse, tra le quali spicca un dato: cinque individui su dieci non vogliono che i loro figli adottino usi occidentali. Se la comunità non supererà le divisioni interne, l’integrazione lascerà posto a sentimenti di chiusura. Importante il progetto pilota della criminologa Luisa Ravagnani nei due istituti penitenziari bresciani, dove figure religiose islamiche educano i detenuti per facilitarne il reinserimento.
Impegni simili sono determinanti per la coesione sociale.
Record
La città ha il record di islamici in rapporto agli abitanti. Otto su dieci condannano l’Isis ma uno su due prevede attentati in Italia