UNA PROVINCIA NUCLEARE
La Nuclear Post Review americana ha pubblicato pochi giorni fa il documento che revisiona la dottrina dell’America sull’uso degli ordigni nucleari in Europa. L’Italia figura la nazione con più ordigni disponibili: sono una cinquantina e di questi, venti sono depositati nella base di Ghedi. Gli esperti aggiungono che nel caso di bisogno, il numero potrebbe essere incrementato. Ghedi, con Aviano, rappresenta il sito strategico per la politica nucleare dell’amministrazione americana. Nei mesi scorsi molti si sono chiesti se in realtà Ghedi fosse solo una base di copertura o un centro realmente armato. La pubblicazione del Pentagono fa chiarezza. La base bresciana è particolarmente apprezzata e «curata». A Ghedi sono oggi depositate bombe B61 a lunga gittata. Verranno rimpiazzate tra il 2020 e il 2024 con le B61/12, bombe di nuova generazione più corte di quelle precedenti, con una potenza che può arrivare fino a 50 kiloton, minore rispetto a quelle odierne. Qualcuno degli esperti del Pentagono fa osservare che questo cambio segnalerebbe la scarsa utilità, la postazione di seconda fila delle bombe presenti in Europa. Ma ciò non presuppone alcun disarmo, tanto che a Ghedi giungeranno gli F35 , caccia capaci di lanciare ordigni nucleari in sostituzione degli attuali Tornado. I dettagli sopra citati servono a dire quanto la nostra provincia rappresenti una sede da anni utilizzata dalla Nato come base militare «coperta». Poche notizie, scarsa visibilità, una discrezione di movimenti felpati. Batterie di lancio furono per anni nascoste sotto la collina di Ome. Sulla cima del Maniva negli anni Cinquanta fu costruito il più grande radar europeo. Era puntato verso Est, captava ogni piccolo movimento proveniente dai Paesi comunisti. Rimase fino agli anni Novanta una base aperta ventiquattro ore al giorno con pattuglie che salivano e scendevano dal Maniva senza far rumore, mimetizzate, con la segretezza dei protocolli militari più efficienti. E il tutto nasce nel contesto manifatturiero apprezzato per la costruzione di armi, che sono nel distretto di Brescia e della Val Trompia, una delle tradizioni più antiche dell’industria bresciana. Sono oggi perlopiù armi sportive, in specie fucili da caccia. Ma non mancano produzioni di armi da difesa. E fino a venti anni fa in provincia si costruivano spolette per carri armati e mine antiuomo. Quest’ultima produzione venne riconvertita grazie alla protesta dei cittadini. Quanto alla base nucleare è da tanti anni ospite scomodo del territorio. È bene saperlo.