Stranieri e politica: l’idea di una lista
Vogliono essere rappresentati a Palazzo Loggia. Approcci anche dal centrodestra
Medici, imprenditori, professionisti: migranti regolari che vivono in città da anni, hanno cittadinanza italiana e diritto di voto, ora puntano a fare una loro lista alle prossime elezioni comunali. Per avere un consigliere che rappresenti anche le loro istanze. Le 13 comunità straniere decideranno lo storico passo domenica prossima. Intanto sono iniziati gli abboccamenti con le altre forze politiche (compresa Forza Italia e Fratelli d’Italia) in vista di possibili apparentamenti.
Tunisia, Marocco, Senegal, Egitto, ma anche Nigeria, Ghana, Sri Lanka, Bangladesh, India. In tutto le comunità straniere sono tredici, ma il loro intento è unico: riuscire ad avere una rappresentanza politico-amministrativa. L’idea, quindi, è che solo facendo parte delle istituzioni si possa scegliere e incidere nella vita pubblica. Ecco perché a maggio, quando ci sarà il rinnovo del consiglio comunale di Brescia in occasione della tornata elettorale, tra le tante liste in corsa comparirà anche una civica. Formata per intero — ed è questa la grande novità — da immigrati che negli anni hanno acquisito la cittadinanza italiana. E che oggi hanno dunque la possibilità di candidarsi a Palazzo Loggia. Come Saai Abderrazak, italiano di origine tunisina che vive in città da trent’anni e oggi presiede la Federazione delle Associazioni bresciane per l’immigrazione (Fabi): «Pensiamo a una nostra lista, fatta soprattutto da imprenditori, medici e liberi professionisti che vogliono impegnarsi su questo fronte».
Se questo sogno prenderà forma, lo si capirà soltanto domenica prossima, 25 febbraio. Nel pomeriggio di quel giorno, alle 15.30, la Camera del Lavoro di Brescia ospiterà l’assemblea della Fabi, ossia il coordinamento che riunisce le tredici diverse comunità straniere presenti in provincia. Saranno loro, come una sorta di novelli Stati generali, a decidere se creare questa civica o viceversa rinunciare al progetto. «Schierarsi o correre da soli? Emergerà dal confronto tra i membri della Fabi» spiega il presidente Abderrazak.
Ma il 25 febbraio non si discuterà soltanto di comunali. In cima all’ordine del giorno figura l’appuntamento elettorale del 4 marzo: le elezioni politiche e regionali. E, non a caso, sul «cortile» della popolazione immigrata si sono affacciati in tanti. Non solo i partiti di centrosinistra, ma anche il centrodestra a caccia di voti e di candidati che possano attrarre l’elettorato mobile degli stranieri. «Noi discutiamo con tutti» è la sintesi del presidente della Fabi.
Come dire, nessuna preclusione di colore politico, visto che al centro del dibattito ci sono invece i temi: «Il rispetto prima di tutto» e i diritti, ma anche problemi concreti come il lavoro e la sicurezza.
Ma cosa chiedono gli stranieri? Cosa li preoccupa? «Hanno bisogno di garanzie, come quella sugli sfratti. Se un’azienda fallisce — spiega Driss Ennya — servono gli ammortizzatori sociali». Il referente dell’Ufficio immigrazione della Cgil si occupa da anni di questi temi. E sa che da parte degli stranieri c’è una forte richiesta di servizi sociali («non è assistenzialismo», sostiene). Senza dimenticare la partita dei luoghi di culto, da riconoscere come tali: un tema di carattere nazionale, che dipende da Roma e non tanto dalla Loggia. In una città che conta il 13% di stranieri il voto immigrato pesa, tanto più se «ogni anno — ricorda Driss Ennya — sono mille i nuovi cittadini italiani». Vale a dire coloro che acquisiscono la cittadinanza e possono quindi votare. Non stupisce quindi se i collaboratori di un parlamentare bresciano di Forza Italia si sono già confrontati proprio con i membri della Fabi e con i rappresentanti di alcune comunità straniere. Ma un «interessamento» è arrivato anche da un amministratore di Fratelli d’Italia: bocche cucite sul nome, ma la caccia al voto è partita.
L’idea quindi che fosse solo il centrosinistra a rappresentare il voto straniero è un’interpretazione parziale. E una conferma deriva anche dai maldipancia interni alle stesse comunità. I maghrebini o i nigeriani che per anni hanno lavorato in Italia non vedono di buon occhio i loro connazionali arrivati qui con lo status di richiedenti asilo. Chi ha lavorato per dieci anni e oggi, da disoccupato, si ritrova in difficoltà, non solidarizza con «quelli che vivono in albergo a spese dello Stato». Soprattutto se si tratta di migranti economici, come confermano le stesse statistiche. Il conflitto interno al mondo straniero quindi esiste. Ed è già qui.