Più che lo Ius soli serve l’adeguamento della Bossi-Fini «Penalizza troppo i regolari»
Più che lo «Ius soli», la cui battaglia è arenata in parlamento, il problema grosso per gli immigrati è ancora la legge Bossi-Fini. «Per chi è stato regolare non va assolutamente bene — spiega Matteo Bracchi, responsabile dell’Associazione nazionale oltre le frontiere (Anolf) della Cisl — È una legge vecchia, fondata per intero sul contratto di lavoro». Significa che, se lo perdi, vacilla anche il permesso di soggiorno. E tanti altri diritti. Con la crisi economica non a caso sono cominciati i rimpatri volontari. Soprattutto di mogli e figli degli stranieri. Secondo il Centro di ricerche sulle migrazioni di Brescia (CirMiB), l’anno scorso nella nostra provincia è stato registrato un netto calo degli stranieri (cinquemila in meno) rispetto al 2016. «Bisogna aggiornare la Bossi-Fini» ripete Bracchi. L’associazione per la quale lavora, presieduta da Giovanni Ponzi, gli immigrati li incontra tutti i giorni. E inevitabilmente si parla anche di politica, dato che le decisioni di Montecitorio e Palazzo Chigi li riguardano direttamente. Il 4 marzo si avvicina e, a ben guardare, alcuni partiti li preoccupano più di altri. «Con la Lega al governo o i Cinque stelle — spiega Bracchi — temono un restringimento dei flussi di ingresso in Italia». Non solo: il rischio secondo loro è anche quello di un «inasprimento della normativa» che regola prestazioni fiscali, per la casa o i servizi. Ma per gli stranieri spesso la politica è una babele, dove molti faticano a orientarsi. In questa confusione qualcuno «non rimpiange la mancanza del diritto di voto». Ma bisogna superare anche lo stereotipo che vuole lo straniero come un elettore rivolto per la maggiore al centrosinistra. «Pensate ai tanti dell’Europa dell’Est: la vecchia sinistra — spiegano dall’Anolf — ricorda loro l’esperienza dell’Urss». Tra aspettative e timori, non è facile capire dove finirà il voto dei nuovi italiani, gli stranieri diventanti cittadini nel corso degli anni. Lo Ius soli, che per mesi sembrava sull’orlo dell’approvazione parlamentare, è finito in un vicolo cieco: se ne occuperà la prossima legislatura. «È un tema che interessa i genitori in relazione ai figli, non a loro direttamente». Tra i figli di marocchini, nigeriani e bengalesi c’è chi parla perfettamente il dialetto bresciano. Non a caso «si sentono italiani. Si riconoscono in questo Paese. È quello in cui sono cresciuti. Per loro — ricorda Bracchi — il Marocco è semmai un paese esotico, buono per le vacanze». (m.tr.)