Gli haiku in jazz di Fasoli
«Mi interessa realizzare una musica essenziale, evitando il narcisismo»
Il protagonista del concerto di questa sera al Blue Note, il sassofonista Claudio Fasoli, ha appena vinto il referendum della rivista «Musica Jazz» come miglior jazzista italiano dell’anno. Un riconoscimento prestigioso, non tanto consacrazione di una carriera — da molti anni Fasoli è in vetta alle attenzioni degli appassionati e della critica — quanto l’attestato di un momento particolarmente vitale nel suo lungo percorso artistico.
Fasoli ha appena pubblicato il disco «Haiku Time» con lo stesso gruppo che si esibirà al Blue Note, il Samadhi Quintet. «Samadhi è un termine della cultura indiana che descrive la concentrazione, la determinazione, il silenzio interiore», spiega il musicista veneziano, da molti anni milanese d’adozione. «Si tratta di uno stato d’animo che trovo molto in sintonia con ciò che vogliamo fare con il nostro gruppo». E il titolo del disco rimanda alla cultura giapponese… «Gli haiku sono forme poetiche estremamente sintetiche e rigorose; di recente ho scritto diversi brani ispirati a questa logica, m’interessa realizzare una musica essenziale, evitando il narcisismo di molte proposte d’oggi. Trovo che il disco rappresenti molto bene ciò che voglio fare in questo momento».
Di solito il jazz è percepito come una musica «afroamericana», qui invece ci si riferisce all’Asia. Come mai? «Diciamo che è uno degli interessi di una persona che è nata in Italia anziché nel Bronx, che ha la pelle bianca anziché nera. Tutti noi jazzisti abbiamo avuto una fase legata alla cultura africana, o meglio afroamericana, ma da tempo sento il bisogno di approfondire il mio specifico retroterra musicale, che è legato all’Europa fra Ottocento e Novecento». Il quintetto è formato da sassofono, tromba e sezione ritmica, un organico che ha attraversato tutta la storia del jazz. «Proprio questa è la sfida! La formula ha conosciuto soluzioni molto diverse, pensiamo ai Jazz Messengers e ai gruppi di Miles Davis. Voglio provare a fare cose nuove utilizzando strutture note».
In passato Fasoli ha lavorato per sottrazione, creando organici ai quali mancava qualche strumento fondamentale, e in questo modo ha scritto pagine importanti per lo sviluppo del jazz europeo. «Sì è vero, alcuni di quei dischi dovrebbero venir presto ristampati: “Land”, con Kenny Wheeler e Jean-François Jenny Clark, e “Bodies” con Mick Goodrick. Ma di recente ho anche inciso a New York in quartetto con tre giovani, Matt Mitchell, Matt Brewer e Justin Brown. Sentirsi europei non significa disinteressarsi agli sviluppi del jazz statunitense…».