Corriere della Sera (Brescia)

L’Italia e i suoi ct storia bresciana

Da Beretta a Di Biagio, il commissari­o tecnico della Nazionale passa da Brescia

- Di Luca Bertelli

Per sedersi sulla panchina della nazionale passare da Brescia conviene. L’incarico a Luigi Di Biagio è solo l’ultimo capitolo di una lunga tradizione. Sette dei 21 ct hanno legato la propria carriera a Brescia.

Per diventare un bravo commissari­o tecnico della nazionale, stimato da un Paese con oltre 50 milioni di aspiranti ct, serve tanta fortuna. E qualche trofeo da consegnare alla storia. Per sedersi sulla panchina della nazionale, però, passare da Brescia conviene. O almeno porta bene. L’incarico a Luigi Di Biagio è solo l’ultimo capitolo di una lunga tradizione.

Di solito si dice che tre indizi fanno una prova, in questo caso un allenatore su tre ne è la prova. Se si escludono le varie commission­i tecniche che si sono succedute alla guida dell’Italia sino agli anni Sessanta, sono 21 i ct alternatis­i in azzurro: sette di questi, uno su tre, hanno legato la propria carriera alla nostra città. Di Biagio è stato una rondinella dal 2003 al 2006 con alterne fortune: trascinato­re da centrale difensivo nell’ultima stagione di Baggio, ne raccolse il testimone da capitano l’anno seguente senza evitare la retrocessi­one nonostante i 9 gol (16 in totale) realizzati, mentre la permanenza in B qualche mese dopo iniziò con il piede sbagliato – il giocatore rimase dopo un lungo tira e molla estivo con la società – e finì male, con l’infelice gestione Zeman che a Foggia e Roma fu maestro proprio del nuovo ct.

La lunga storia bresciana in nazionale iniziò con un precursore anomalo, Carlino Beretta, definito personaggi­o poliedrico non a caso. Grande industrial­e, noto in tutto il mondo per la produzione di armi da fuoco, fu campione nel tiro a volo e longevo presidente del Brescia. Non lo allenò mai. Al contrario, impensabil­e oggi, gli affidarono la guida dell’Italia nel 1951 in un triumvirat­o con Combi e Busini che divenne poi una diarchia (l’allenatore era comunque lui) con Giuseppe Meazza. Tra gli anni Sessanta e Settanta, vedere alla guida degli azzurri vecchie conoscenze bresciane era poi diventata una prassi.

Giovanni Ferrari, ct nella famosa battaglia del Mondiale cileno del 1962 contro i padroni di casa, fu ad esempio il primo allenatore delle V bianche dopo la seconda guerra mondiale; gli succedette Edmondo Fabbri, giocatore delle rondinelle nel 1950-51, lo stesso dicasi per Ferruccio Valcareggi che dalle nostre parti passò nel 51-52. Esperienza fugace, più lunga fu quella in azzurro con un Europeo vinto e una finale Mondiale. Infine, Azeglio Vicini e Cesare Prandelli. Il primo, scomparso tre settimane fa, ha scelto la nostra città per terminare la carriera da calciatore e iniziare quella di tecnico e uomo comune; il secondo è nato a Orzinuovi e ha diretto una delle squadre più brescianoc­entriche di sempre con Pirlo e Balotelli nei ruoli cardine. E Super Mario potrebbe ora tornare protagonis­ta con Di Biagio, nel segno di Brescia.

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Di Biagio Ex rondinella
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In azzurro Beretta (da sinistra a destra), Ferrari, e Fabbri, (sotto, sempre da sinistra a destra) Valcareggi, Vicini, Prandelli e Di Biagio

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