Corriere della Sera (Brescia)

Bimba nasce e non respira vicina la salva

«Quando ha pianto ho pianto con lei»

- di Mara Rodella

«Ha aperto la bocca, mi dica cosa devo fare la prego». L’appello all’operatore del 118 è un grido di terrore e speranza. Carolina ha appena avvolto in un asciugaman­o la bimba che la sua vicina ha partorito da poco nel bagno di casa. Ma «non sapeva nemmeno di essere incinta». E quel fagottino era in arresto cardiaco. Grazie alla perseveran­za di Carolina, allarmata dai lamenti dell’amica al piano di sotto, e alla guida dell’infermiere, al tele- fono, affinché le praticasse il massaggio cardiaco, la picco- la Sophia (l’hanno chiamata come la figlia di chi l’ha salvata) ha iniziato a piangere. «E io con lei» si lascia andare Carolina. Il miracolo sta di casa a Borgosatol­lo e si concretizz­a all’alba. Giusy, cinque figli — adesso sono sei — e la sua bimba sono state trasferite alla casa di cura Poliambula­nza: stanno entrambe bene. «In questi anni ci siamo sempre aiutate con i figli. Siamo molto legate».

Nel tardo pomeriggio la tavola è ancora imbandita, acqua e bibite sul tavolo. «Scusatemi per il disordine», scansa le briciole. «Non sono ancora riuscita a sistemare. È stata davvero una giornata complicata!». Già, perché all’alba Carolina, che di cognome fa Meneses (38 anni a maggio e origini colombiane) ha rianimato la piccola appena messa al mondo dalla sua vicina e amica da oltre dieci anni. Nel panico, in preda a un vortice di emozioni e all’incredulit­à di un evento che ha davvero del miracoloso. A Borgosatol­lo, nel suo appartamen­to al secondo piano, il telefono continua a trillare: «Giusy e la piccola stanno bene, menomale, non riesco ancora a crederci».

Tutto succede intorno alle 6.15. «Anzi mamma erano le 6.25, mi stavo preparando per la scuola» la corregge la sua Sofia. Al piano di sotto le urla dei bimbi («sono in cinque, è normale, capita»), ma sono i lamenti e le grida di Giuseppa, 38 anni nei prossimi giorni, a un certo punto, a innescare la preoccupaz­ione. «Le ho telefonato ma mi ha risposto il figlio. Ho chiesto cosa avesse la mamma», che fa la governante e in questi giorni è in ferie. Risposta: «Non lo so, è in bagno». Carolina scende di corsa. «I bimbi erano sotto choc». Sara, 16 anni, la terzogenit­a, si dispera: «È morto, è morto...». Ma Carolina non capisce. Il fratello Isham è già al telefono con gli operatori del 118. Giusy è lì, in piedi, scossa ma lucida. «Mi sono avvicinata e ho notato il cordone ombelicale. Fino a che non ho visto un bebè nel water. Ero completame­nte scioccata anch’io, non riuscivo a capacitarm­ene». Per un motivo su tutti: «Non sapevo nemmeno di essere incinta» le sussurra l’amica. Non solo: «So che si era addirittur­a sottoposta a un intervento per chiudere le tube, è tutto incredibil­e». Ma non bisogna perdere tempo. Perché quella bimba, nata podalica, non respira, è in arresto cardiaco. «Mi sono inginocchi­ata, tremavo. L’ho presa in braccio, l’ho avvolta in un asciugaman­o con cura. Le chiedevo scusa nel caso in cui le stessi facendo male, era ancora così morbida, e immobile. Ma all’improvviso ha aperto la bocca...». Carolina afferra subito il telefono affinché l’operatore del Nue la aiuti («è stato ec-

Carolina

Giusy non sapeva nemmeno di essere incinta: quando ho sentito le sue urla sono corsa

Pensavo solo alla piccola e a cosa fare per salvarla: quando l’ho sentita piangere ho pianto con lei

cezionale»): «È viva, è ancora viva, gli ho urlato. E lui mi ha guidato, senza mai perdere la calma. Mi ha spiegato come farle il massaggio cardiaco contando insieme seguendo il suo ritmo: uno due tre, uno due tre...fino a che non si stanca signora forza...». Dopo qualche minuto il miracolo: quel batuffolo piange («e fa sentire che è con noi»). «E io ho pianto con lei. La sente? La sente vero? Ripetevo all’infermiere». E si commuove ancora, nel ricordo di quel cuoricino che non si è arreso. In un attimo ecco due ambulanze per accompagna­re Giusy e la piccola in Poliambula­nza, mentre il padre, che fa il netturbino e all’alba è già al lavoro, si chiede come sia stato possibile. La bimba si chiama Sophia, come la figlia di Carolina, pesa 2,9 chili e pare sia nata di circa sette mesi e mezzo. «Stanno bene e questa è la cosa più importante. Le stanno facendo tutti i controlli a cui non è stata sottoposta in gravidanza, ma le prime risposte sono tutte positive. Sì, è un miracolo». Doppio, pare.

Carolina si lascia andare a un respiro profondo. «Adesso sono felice, prima ero troppo agitata!». Ma non ha avuto paura? «No, pensavo solo a quella bambina e a come salvarla». Lei, che nella vita fa la collaborat­rice domestica e mai aveva praticato un massaggio cardiaco prima d’ora, «avrei voluto frequentar­e un corso per fare la volontaria in ambulanza, ma purtroppo essendo separata con due bimbi non ne ho il tempo». In genere esce di casa verso le 7.30: «Sophia doveva proprio venire al mondo. È destino».

«Sono fiera della mia mamma. Perché se non fosse stato per lei quella bimba non sarebbe viva», la abbraccia Sofia. In casa a giocare c’è anche il piccolo Jounes, 5 anni, figlio più piccolo di Giusy («stamattina era molto spaventato, la mamma ha perso tanto sangue») che ha altri due fratelli di 19 e 18 anni e due sorelle di 17 e 9. Ora c’è anche lei, la piccola Sophia. «Siamo una grande squadra! Io e Giusy ci siamo sempre date una mano con i figli. Siamo molto legate». Adesso ancora di più.

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Miracolo Carolina Meneses (LaPresse)
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(LaPresse/ Cavicchi) Il miracolo Carolina, ancora scossa, per la mattinata, racconta come è riuscita a salvare Sophia. In alto con la figlia e due dei sei figli di Giusy. Da anni vivono nella stessa casa a Borgosatol­lo
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