«Un nuovo progetto per il Civile»
Nicolai (Università): «Dobbiamo lavorare insieme per garantire le eccellenze»
Prove tecniche di nuova convenzione. Di uno strumento che garantisca finalmente una integrazione tra Ospedale Civile e Università, senza steccati e provincialismi. Cosa serve? Il Corriere lo ha chiesto al professor Piero Nicolai, delegato del Rettore, ai rapporti con il Civile. «Dobbiamo lavorare ad un progetto comune che garantisca le eccellenze» spiega il docente.
Un cammino comune che va consolidato con un progetto condiviso, che preservi le conquiste fatte fino ad ora e che sappia mettere in primo piano principi come merito, eccellenza, ricerca. La prossima settimana Università di Brescia e Asst Spedali Civili si metteranno attorno ad un tavolo per iniziare la discussione sulla bozza di convenzione che regolerà i rapporti fra i due enti per i prossimi anni. Il Corriere ne ha parlato con il professor Piero Nicolai, direttore dell’Unità di Otorinolaringoiatria dell’Università e delegato del Rettore Maurizio Tira a tenere i rapporti con il Civile.
Professor Nicolai, il rapporto tra università e ospedale è nato nel 1982, 36 anni non privi di problemi. Com’è oggi questo “matrimonio”?
«Come in tutti i rapporti ci sono delle criticità, in parte ormai consolidate, in parte nuove. Direi che nel complesso il clima che si è instaurato nell’ultimo anno è un clima estremamente collaborativo. Con questo non voglio dire che tutti i problemi siano risolti, soprattutto se questi sono temi che giacciono inevasi da anni. C’è però la disponibilità ad affrontarli e ad analizzarli nel dettaglio, cercando di individuare un percorso che porti ad una soluzione, che soddisfi entrambe le componenti, quella ospedaliera e quella universitaria, anche se ritengo questa suddivisione anacronistica e obsoleta . In una azienda che ha alle spalle 36 anni di vita comune questo processo di integrazione avrebbe dovuto essere ad uno stadio più avanzato. Invece rimangono sempre degli atteggiamenti di sufficienza da parte di qualche «universitario» e c’è ancora qualche «ospedaliero» che ci percepisce come corpo estraneo. Condotte che non hanno più molto senso di esistere e che in altre realtà sono state superate da tempo».
Ma cosa serve, realmente, per un corretto rapporto tra Università e Civile?
«Deve essere percepita come fondamentale la identificazione di un progetto, di una idea comune di sviluppo futuro. Mi rendo conto, però, che ci sono delle difficoltà, che non esistono solo nell’ambito sanitario, ma ci sono forze e problemi esterni che vanno ad incidere sui piani di sviluppo...».
Ci spieghi.
«Oggi ci sono le elezioni, domani si cambia direttore generale, poi cambia il rettore. Sarebbe però buona norma costruire insieme un progetto futuro che anche davanti ai cambiamenti resti come spina dorsale, a testimonianza di una progettualità condivisa».
Su questo si dovrebbe sviluppare la convenzione tra Ospedale e Università. A proposito, a che punto siamo?
«Ad uno stadio avanzato. Noi abbiamo formulato una prima versione della convenzione al vaglio dell’ospedale e sono stati programmati alcuni incontri (il primo la prossima settimana) in cui si cominceranno a valutare gli aspetti da definire. Nella nostra condizione del resto si trovano in Lombardia anche altri enti universitari. Questa convenzione deve affrontare alcuni problemi che non erano contemplati nel precedente versione. Faccio un esempio per tutti: non erano contemplati i dottorandi e i borsisti. Ora, per ognuna di queste figure va definito bene quali siano i ruoli, quali i limiti, in modo tale che un domani non nascano più contestazioni o si spendano discussioni spesso infruttuose per stabilire ex post quali siano i paletti entro i quali queste figure devono operare».
In un suo recente intervento su «Brescia Medica», la rivista dell’Ordine dei medici di Brescia, lei ha ricordato che altre università paragonabili a Brescia sono riuscite meglio a gestire i rapporti con l’ospedale di riferimento. Cosa intendeva dire?
«Verona, ad esempio, è una realtà dove la dualità tra ospedalieri e universitari si è stemperata nel tempo e questo ha anche garantito uno sviluppo dell’azienda in termini di competitività pure nei confronti di realtà limitrofe. Non a caso la scuola di medicina dell’Università di Verona ha un ottimo posizionamento in un contesto universitario sovrapponibile a quello di Brescia».
Da sempre l’università di Brescia è nata come una realtà aperta alla Lombardia orientale. Ora questa peculiarità si è concretizzata con la nascita di rapporti anche con ospedali delle provincie vicine. Insomma, il Civile di Brescia non è più in regime di «monopolio».
«Il rapporto con il Civile non è più esclusivo, anche se resta il partner naturale. Ciò non è escluso che in un’ottica lombarda l’Università guardi anche alle province di Mantova e Cremona con cui, peraltro, abbiamo sempre collaborato anche se in maniera meno strutturata. Ora abbiamo rinnovato la richiesta di collaborazione cercando di consolidare le relazioni con le due Asst di competenza trovando grande disponibilità da parte dei rispettivi direttori generali».
Prima lei parlava della necessità di trovare unità di intenti con il Civile, quanto su questa ricerca ha influito la riforma sanitaria regionale che ha portato il maggior ospedale cittadino ad occuparsi, per la prima volta nella sua storia, anche di assistenza e territorio?
«L’unità di intenti per noi è un traguardo. Certo, la riforma ha assorbito tempo, risorse e forze dell’Ospedale, che si trova ora a dover affrontare aspetti nuovi e per certi versi ancora non del tutto chiariti. Insomma, distrae l’attenzione della controparte anche se noi non percepiamo tutto ciò come una pesante ostacolo al nostro percorso».
Ma non pensa che nel momento di trasformazione del Civile da Azienda ospedaliera a Azienda socio sanitaria la comunità medica e universitaria abbia fatto un po’ poco per preservare le peculiarità legate alla ricerca e alle eccellenze di una struttura complessa e delicata come questa?
«Qualche tentativo è stato fatto, ma si è capito che andavano ad interferire con una volontà politica già tracciata. Siamo stati forse un po’ rinunciatari ma ci si è resi conto che questa era un’operazione che volava al di sopra delle nostre teste».
Recentemente il Civile ha vissuto momenti non facili, costellati da alcune inchieste giudiziarie che hanno riguardato anche ambiti universitari. In molti hanno sottolineato un clima deteriorato all’interno dei reparti, tra lettere anonime e sospetti che mettono in cattiva luce anche il prestigio sia dell’Ospedale che dell’Università. Che ne pensa?
«Ci sono indagini giudiziarie in corso nel merito delle quali non entro per rispetto alla magistratura. Al di là delle inchieste, però, il disagio è palpabile perché c’è una litigiosità che non è giustificabile in un ambiente come quello ospedaliero. Soprattutto se va ad intaccare un rapporto delicato come quello tra medico e paziente e la fiducia tra istituzione e cittadini. Queste situazioni vanno stigmatizzate e arginate e devono essere risolte all’interno delle aziende. Se si ricorre alle lettere anonime ci si pone al di fuori dei requisiti etici minimi della propria attività professionale. Queste cose non dovrebbero trovare spazio in un contesto di società civile».
Il Civile ha dato vita ad una Fondazione in cui l’Università è chiamata eventualmente ad intervenire solo come socio partecipante in concorso con altri enti. Non è un ruolo troppo marginale?
«Che il Civile abbia una fondazione è una cosa giusta per drenare in maniera ordinata e indirizzata fondi che arrivano dal territorio. L’università può trovare un suo ruolo importante non tanto nel Cda, quanto nel comitato scientifico che affiancherà le scelte della Fondazione».
Ci sarà mai un equilibrio possibile tra ricerca e assistenza, tra medici ospedalieri e universitari a favore di quello che potremmo chiamare «Sistema-Civile»?
«Torniamo alle considerazioni fatte all’inizio. Se diamo vita ad un progetto di sviluppo attraverso chiare regole del gioco, che vanno nelle direzione dell’eccellenza, ricerca e assistenza non possono che marciare in questa direzione. Un ospedale che mira ad essere un ospedale di eccellenza non può fare a meno dell’università e non può che reclutare le professionalità migliori non solo per le figure apicali ma anche per quelle intermedie. Gli ospedali dove si fa ricerca clinica sono quelli che danno risposte migliori, più pazienti ci sono, più affidabili saranno i risultati della ricerca. Se non ci sarà una buona sinergia tra ospedale e università questa tendenza all’eccellenza non la otterremo».
Perché?
«Perché le risorse sono limitate e per ottenere buoni risultati bisogna mettere insieme le energie, uscendo da atteggiamenti provinciali. Troppo spesso siamo attaccati al nostro orticello».
Ritiene che il Civile tenda ancora all’eccellenza?
«Direi proprio di si. Soprattutto a livello nazionale siamo ancora molto competitivi».
Le contrapposizioni Dopo 36 anni avremmo dovuto essere più integrati, invece soffriamo ancora l’anacronistica divisione tra medici ospedalieri e universitari
Il percorso Dobbiamo uscire dal nostro orticello, fare una sinergia che punti a reclutare i medici migliori. Ricerca e assistenza non possono non marciare insieme
Le situazioni critiche Al di là delle inchieste giudiziarie, la litigiosità di alcuni reparti non è giustificabile: l’uso delle lettere anonime incrina la fiducia e ci pone fuori da ogni principio etico