Montagna, quei simboli fra noi
Dal Cervino allo stambecco, da Heidi allo chalet svizzero: fra mito e paccottiglia alpinistica
Cosa hanno in comune l’aquila, il Cervino, lo chalet svizzero, la stella alpina, Heidi e la piccozza? In apparenza nulla; molto invece se questi temi sono affidati a un intellettuale-alpinista-scrittore come Franco Brevini che ne fa le chiavi d’accesso per leggere la trasformazione del mito della montagna dalla fine del Settecento a oggi, partendo da un mondo sterile abitato da presenze inquietanti, passando attraverso la scoperta dell’avventura, del selvaggio e del senso del limite caro alla borghesia ottocentesca, attraversando il naturalismo colto e l’idealizzazione romantica per arrivare al turismo di massa, all’alpinismo iper tecnologico, alla «chincaglieri alpina» che trascolora nel kitsch e nell’estetica del souvenir.
Un viaggio avvincente e colto, quello di Brevini — che insegna all’Università di Bergamo ed è una firma storica del Corriere della Sera — condotto nel suo «Simboli della montagna» (Il Mulino, collana Intersezioni, pagine 240, euro 16).
Le quindici pagine finali di «Bibliografia di riferimento» e le sei fittissime di «Indice dei nomi» dicono della vastità delle letture di Brevini, della solidità dei riferimenti su cui si innesta un’attitudine errabonda, un gusto enciclopedico nella classificazione delle materie alpinistiche, una scrittura smagliante. La descrizione del Cervino, ad esempio, sconfina nell’agiografia di una vetta. Sentite l’incipit: «È la montagna per antonomasia: tre righe convergenti verso un vertice ed è subito Cervino. Nel gigante delle Alpi Pennine vive la perfezione simmetrica della piramide, il sogno pitagorico del demiurgo, l’impeccabilità di un’equazione geologica».
L’inno di Brevini al Cervino non è solitario: John Ruskin lo definiva «il più nobile scoglio d’Europa», Edmondo De Amicis la considerava «una delle montagne più strane e meravigliose al mondo», Théophile Gautier lo considerava «uno spettacolo veramente sublime, al di là di tutto ciò che l’immaginazione può concepire». E via inneggiando.
Brevini cita e cataloga, censisce e divaga, avendo sempre una stella polare: l’immanenza della montagna e del mondo alpestre nell’immaginario collettivo. E così il capitolo dedicato ad aquila, camoscio, stambecco e cervo muove dalla capacità di questi animali di evocare la wilderness, passa a ricordare il ruolo dei loro cacciatori (e bracconieri) nell’aprire le prime vie alpinistiche e nel surrogare in molti casi le guide alpine, registra l’invadenza di questi simboli della pubblicità, cita la farmacopea legata a questi animali, giù giù fino a rintracciare la leggenda del bezoario, bolo alchemico presente nello stomaco di alcuni camosci che ha guadagnato una citazione persino nella saga di Harry Potter.
Accanto a miti e leggende ci sono però episodi storici saldamente documentati, come il provvidenziale divieto di caccia agli stambecchi introdotto nel 1821 nelle tenute dei Savoia, quando si era giunti a un passo dall’estinzione del nobile ungulato, o come il trafugamento avvenuto nel 1906 di due femmine e un maschio a opera di un bracconiere che consentì il ripopolamento nei Grigioni, il cantone svizzero che issa uno stambecco nel proprio simbolo ma non s’era peritato di salvaguardarne la specie.
Non mancano le pagine esilaranti, come quelle dedicate allo chalet svizzero, prototipo di un’architettura d’invenzione che pure è stata elevata a paradigma del pittoresco alpestre; oppure come nel censimento delle citazioni riservate alla Stella alpina-Edelweiss che non trascurano neppure l’episodio di Asterix e Obelix in cui il fiore «a zampa di leone» è un toccasana erboristico che i due scanzonati galli dei fumetti devono rintracciare, cogliendo l’occasione per irridere gli elvetici. O, ancora, il fenomeno di Heidi, la bambina che solo nell’idillio alpestre ritrova la salute e il sorriso, «la cui fama ha fatto dimenticare la sua autrice» tanto che «della scrittrice svizzera più letta al mondo (Johanna Loui- se Spyri, ndr.) nessuno ricorda il nome».
Quella della piccozza è poi una vicenda affatto avvincente, di cui Brevini rintraccia l’evoluzione dall’alpenstock ottocentesco alle soluzioni tecniche e alle fortune imprenditoriali che hanno fatto, ad esempio, di Premana «il paese della piccozza».
Perennemente in bilico fra «il pittoresco e il sublime» la montagna indagata in sei tappe e altrettanti simboli da Brevini ci fa sognare e ci spaventa, orienta il nostro tempo libero e sazia la nostra domanda di avventura, popola le pubblicità e affolla il nostro immaginario.
Il lavoro di Brevini accumula materiali enormi ed eterogenei, mescola letteratura e advertising, paccottiglia e mito, storia e leggenda. L’autore stesso osserva che il suo libro «si presta a essere arricchito all’infinito». La conquista del «pianeta verticale» è destinata ad affascinare ancora a lungo. Anche chi, quelle montagne, è abituato ad ammirarle da un turistico, attrezzatissimo, confortevole fondovalle.
Farmacopea C’è persino una farmacopea fantastica che parte dai racconti mitologici dei bracconieri e arriva alla saga di Harry Potter