Città blindata, ma nessuno scontro
Primi riscontri: potrebbe essere un gesto isolato l’assalto alle casette di via Gatti
Doppio corteo, nessuna tensione. La mobilitazione di Magazzino 47 e comunità Sinti dopo le fiamme dolose fila liscia. E l’attacco in via Gatti non sarebbe di matrice politica.
Dalle otto del mattino alle sei di sera. «Una grande giornata di mobilitazione» come l’avevano annunciata gli attivisti del centro sociale, «per dare un segnale forte contro ogni forma di razzismo e fascismo». Che si sviluppa senza tensioni. Fila tutto liscio.
Prima il presidio degli attivisti del Magazzino 47 (colpito da un incendio doloso l’altra notte), inizialmente nato in contrasto al gazebo elettorale di Forza Nuova, poi annullato, che si allarga nei vicoli del Carmine allo slogan: «Contro la violenza fascista riprendiamoci le strade». Poi di nuovo alle 14.30, in piazza Rovetta, insieme ai rappresentanti delle comunità Sinti e rom, dopo l’incendio di quattro auto al campo nomadi di via Orzinuovi, un paio di settimane fa. Perché gli attivisti del centro sociale ne sono certi: «Dietro i recenti attacchi c’è la stessa infame mano fascista». Eppure, sembra che a colpire le casette di via Gatti (il 10 febbraio) dove vivono italiani e stranieri senza casa, siano invece stati quattro ragazzini assolutamente svincolati da ogni logica estremista di partito. Una stupida bravata, sembra. Le indagini di carabinieri e polizia procedono serratissime. Mentre loro, i Sinti, chiedono «sostegno dallo Stato e dai bresciani per contrastare la discriminazione». E lo fanno cantando e ballando in piazza sul camioncino, parlano in dialetto e spiegano alla gente che hanno subito un attacco al campo. Digos, celere e carabinieri sono schierati. Nessuna possibilità anche solo per ipotizzare di «dribblare» il percorso ufficiale. Alle 16 in punto la partenza del corteo («per la pace, perché è questo che noi vogliamo. Siamo cittadini come voi, aiutateci a dire no al razzismo»), un serpentone di cinquecento persone circa: via X Giornate, via Gramsci, via Moretto. Ed è lì che si teme possano accendersi gli animi, all’angolo con via Bulloni: pochi metri più avanti, oltre lo schieramento in tenuta antisommossa, c’è la sede di «Brescia ai bresciani» (una ventina di militanti sventolano la bandiera). Il corteo procede senza problemi. Via Mazzini, fino a palazzo Broletto, per l’incontro con il prefetto. A lui, come al sindaco Emilio Del Bono, una delegazione di Sinti e del centro sociale consegna nero su bianco le stesse richieste, riassunte da Carlo Berini, dell’associazione «Sucar Drom» («bella strada»): «Riposizionare le telecamere per una sorveglianza effettiva al campo nomadi, risarcire le auto date alle fiamme, implementare il piano locale di inclusione sociale, creare centri di tutela legale per le vittime di discriminazioni». «Viviamo nel degrado», dicono al prefetto, Annunziato Vardè. Che dopo l’apprezzamento per il corteo pacifico, e ricordando «i segnali di accoglienza e solidarietà già manifestati dalla Loggia», promette di valutare la possibilità di un Comitato per l’ordine pubblico aperto ai Sinti, di impegnarsi affinché si replichino a Brescia le disposizioni nazionali per consentirne le iniziative culturali e ricorda di aver già rafforzato i controlli in via Orzinuovi. «Ma bisognerà parlare delle condizioni del campo: il nostro obiettivo è lavorare per l’integrazione».
Berini Chiediamo controlli, inclusione sociale e un centro legale per le vittime di razzismo
Vardé Lavoriamo per l’integrazione, ma dovremo parlare del vostro insediamento